TORINO - “Non aiutare le periferie è come mettere un ladro in una stanza con una collana”. Patrizia è una delle donne che partecipa alla sartoria sociale del Gruppo Abele a Torino, nel quartiere Barriera di Milano, per tutti semplicemente Barriera. Oltre cinquantamila abitanti, circa la metà donne, da sempre luogo di immigrazione, prima pugliese e negli ultimi anni soprattutto africana. Rappresenta la periferia a pochi minuti dal centro.

La sartoria è uno dei progetti della “Drop House”, una casa di quartiere che sorge in un’ex fabbrica di Barriera, simbolo dell’anima operaia che ha contraddistinto la città: oggi è un luogo vocato alle donne, per trovare un riscatto attraverso corsi, opportunità di crescita e di lavoro, percorsi per uscire dall’isolamento. Patrizia, qui, ha trovato un’oasi dove gettare le basi per ripartire dopo un passato difficile e una vita poco generosa. Così come tante altre donne.

Cucire, imbastire pantaloni o maglie, non è solo un semplice passatempo, è davvero molto di più: è l’occasione per stare insieme, imparare un mestiere, intravedere un futuro fuori dalla precarietà del momento. Così come racconta Joy, giovane donna nigeriana, da 15 anni a Barriera di Milano, arrivata in Italia appena maggiorenne: “Da quattro anni frequento la ‘Drop House’, conosciuta tramite un’amica – racconta -. Prima ho frequentato il corso di italiano, poi quello da sarta. Per me è stata una grande opportunità. Ora sto lavorando come aiutante sarta, e quando posso continuo a frequentare il centro. Sono contenta se si parla di questa attività, può aiutare altre donne. Io ho imparato un mestiere bello, un lavoro che ritroverò nel tempo”. “Oggi – aggiunge orgogliosa - sono vestita con abbigliamento e accessori fatti da me”.

La “Drop House” nasce nel 2008 come servizio per supportare il dormitorio femminile, per permettere alle donne di avere un punto di riferimento anche oltre le ore notturne, creando  delle opportunità concrete di inserimento nel quartiere, aiutarle a iniziare un percorso di reinserimento sociale, in un luogo accogliente, ponte tra culture. Negli anni la “casa di quartiere” si è evoluta, aprendosi a tutte le donne di Barriera, per ritmare una quotidianità per molte ormai persa. Si sono poi costruiti dei percorsi di integrazione partendo dai laboratori di italiano, passando poi all’informatica ed altri più professionalizzanti. Frequentano il centro diurno soprattutto donne di origini africane e asiatiche, molte di loro con figli molto piccoli. Ma la periferia non è solo immigrazione, sono molte le donne italiane che si rivolgono al centro. La “Drop House” è una delle attività del Gruppo Abele, l’associazione fondata 55 anni fa da don Luigi Ciotti: oggi il centro è una realtà che restituisce una fotografia di quelle che sono le problematiche fuori dai cancelli dell’ex fabbrica, tra le vie e le case del quartiere. Così, come in ogni periferia.

“Le periferie non sono povertà - racconta Margherita, volontaria del Gruppo Abele -, sono un dono per le relazioni. Bisogna viverle, affrontarle. Non avere paura della confusione”.