“Questo pomodoro non sfrutta i braccianti stranieri”. Arriva il marchio di Arci, Aiab e Cgil
ROMA – Un marchio di qualità per certificare che i pomodori, le arance e gli altri prodotti dell’agroalimentare italiano non siano il risultato di caporalato e sfruttamento di lavoratori, in particolare immigrati. Si chiama “Qualità lavoro” l’iniziativa lanciata da Arci, Cgil e Aiab ( con il sostegno di Open society foundation e Anci) che prevede una certificazione etica per le imprese agricole del tutto particolare: saranno le stesse associazioni insieme al sindacato, infatti, a valutare attraverso nuclei certificatori ad hoc, se i prodotti sono o meno frutto di una filiera etica che tutela i diritti dei lavoratori sia italiani che stranieri. Le aziende interessate saranno così chiamate a sottoscrivere una carta d’impegno in cui dichiarano di rispettare alcuni principi basilari: dalle retribuzioni adeguate al diritto al riposo fino all’accesso del sindacato nelle strutture aziendali.
L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare lo sfruttamento del lavoro bracciantile e il fenomeno del caporalato che nelle campagne colpisce in particolare i lavoratori immigrati. “Quella che vogliamo portare avanti è innanzitutto una battaglia culturale – spiega Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci - far capire cioè che la qualità del prodotto e del cibo possono sposarsi anche coi diritti dei lavoratori. E, in particolare, fare in modo che per le aziende la legalità diventi un discorso conveniente”. “Quello che ormai hanno tutti compreso per il biologico, e cioè il discorso della qualità nella produzione, deve diventare importante anche per la tutela del lavoro bracciantile – aggiunge Francesca Chiavacci, presidente nazionale di Arci -. Il nostro impegno sarà quello di distribuire questi prodotti certificati oltre che con la filiera della grande distribuzione e dei gruppi d’acquisto anche attraverso i nostri circoli sparsi su tutto il territorio”.
Una prima fase di sperimentazione del progetto è stata avviata in Calabria, nella piana di Gioia Tauro. A sottoscrivere la carta d’impegno “Qualità lavoro” sono state già una decina di imprese agroalimentari. “Dobbiamo unire il più possibile qualità e legalità. Le indagini che abbiamo avviato nel settore agricolo ci dicono che sono crescuti in maniera esponenziale gli investimenti della mafia in agricoltura – sottolinea il viceministro alle Politiche agricole Andrea Olivero - . Ed è importante, anche far crescere nei territori la voglia di riscossa, che ci siano produzioni sicure ed etiche in luoghi che hanno conosciuto sopraffazione ha un suo valore aggiunto perché parla di riscatto dei territori. Il nostro obiettivo è il potenziamento agroalimentare, la coesione sociale di un territorio non è un elemento accessorio ma un elemento chiave, se manca inficia la qualità complessiva”.
Per contrastare davvero lo sfruttamento nelle campagne, secondo Kourosh Danesh della Cgil, bisognerebbe inserire nella legge che contrasta il caporalato anche la responsabilità delle aziende: “questo progetto è un primo passo importante – affferma – perché chiama in causa le imprese e ha la capacità di parlare al paese di questo tema spesso poco conosciuto”. “Dobbiamo ricordare sempre che le migliori eccellenze italiane vengono prodotte grazie al lavoro degli stranieri: le mele della Val di Non sono raccolte dai braccianti polacchi, il parmigiano lo fanno i lavoratori sikh e l’industria agroalimentare si fonda sul lavoro degli africani – aggiunge Vincenzo Vizzioli, presidente di Aiab -. Per questo come Aiab abbiamo pensato di affiancare al nostro marchio di certificazione bio un altro che certifica l’equità e la tutela del lavoro”.
Alla presentazione dell’iniziativa era presente anche il presidente della commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi. “La questione fondamentale della protezione dei diritti umani, quella dell’agricoltura e del bracciantato straniero in Italia rappresentano un paradigma per leggere e decifrare la questione dell’immigrazione e capirne lo spessore sociale, economico e sindacale – sottolinea Manconi - 25 anni fa nelle campagne di Villa Literno veniva ucciso Jerry Maslo. Quella data oggi rappresenta un discrimine, perché grazie alla spinta della società civile, portò innovazioni positive per il diritto d’asilo. Oggi noi abbiamo una legge sul caporalato che è una normativa efficace ed efficiente. Ma anche se non siamo in presenza di una vacanza di norme, il caporalato, che è un sistema di dominio, non può essere semplicemente smantellato da una buona legge. Come tutti i sistemi dominio esso si basa, infatti, anche sulla complicità col dominato. Bisogna quindi intervenire parallelamente sulla mentalità delle persone. In questo senso il progetto Qualità lavoro ha una sua originalità importante, dato che coinvolge tutti gli attori in gioco”. (ec)