Dalla "California d'Italia" le insalate in busta prodotte sfruttando i braccianti
ROMA - Ci sono il caporalato, lo sfruttamento di circa quattordicimila braccianti italiani e stranieri, la mancanza di tutele sanitarie, dietro la produzione delle insalate in busta, quelle pronte per l’uso, vendute sui banconi dei supermercati, che vengono dalla “California d’Italia”, cioè dai tremila ettari di serre per le insalate nella Piana del Sele. Si tratta di una zona in cui l’agricoltura è florida con oltre quattromila imprese agricole impegnate anche nelle colture del vino, delle fragole e nel settore caseario, con un aumento del 15% dell’export dell’agroalimentare della Provincia di Salerno nell’ultimo anno e la trasformazione di quattrocento ettari di terra in nuove serre produttive. Ma un nuovo rapporto della Onlus Medici per i diritti umani (Medu) conferma che gran parte del made in Italy agroalimentare si basa sull’illegalità, i sottosalari, le vessazioni dei lavoratori e le truffe nei confronti dell’Inps. Un video girato dai Medu con le donne che lavorano nei campi mostra che il fenomeno riguarda anche lavoratori e lavoratrici italiane.
Sono quattordicimila i braccianti della Piana del Sele registrati negli elenchi Inps, ufficialmente il 50% è straniero, ma il numero è sottostimato. La proporzione effettiva oscilla tra il 60 e l’80% di lavoratori migranti, provenienti dal Marocco, dalla Romania e dalla Bulgaria. A differenza di quanto avviene a Rosarno, dove i braccianti sono stagionali e in gran parte rifugiati o titolari di un permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale, in provincia di Salerno si tratta di lavoratori di un’agricoltura intensiva e annuale, con moltissime serre, e titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il team Medu dall’inizio dell’anno gira per le campagne italiane in camper con il progetto “Terragiusta” per la tutela della salute e delle condizioni di lavoro dei migranti impiegati nel settore agricolo. Nei mesi di maggio e giugno, Medici per i Diritti Umani ha intervistato 177 lavoratori migranti nella Piana del Sele e prestato prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario a 133 di loro. Dalle testimonianze e dai dati raccolti, emerge che sebbene tre migranti su quattro siano regolarmente soggiornanti e il 61% sia in possesso di un contratto di lavoro, continuano a perpetuarsi sistemi di sfruttamento pervasivi basati su sottosalario, pratiche fraudolente e caporalato. L’80% dei migranti intervistati guadagna 30 euro a giornata o addirittura meno. Le pratiche illegali ai danni dei braccianti vanno dalle irregolarità contributive, quasi la norma sia tra i lavoratori italiani che stranieri, alla vendita di falsi contratti di lavoro che possono arrivare a costare 6.000 euro.
Lo scenario sulla salute è particolarmente preoccupante. “Il 15,6% dei lavoratori intervistati ha affermato di entrare in contatto diretto o indiretto con fitofarmaci e, nell’80% dei casi, di non fare uso della mascherina protettiva – si legge nella nota di Medu - Inoltre l’86% dei braccianti, pur utilizzando presidi di sicurezza come guanti e scarpe, è obbligato in quattro casi su cinque a procurarseli autonomamente poiché non gli vengono forniti, come sarebbe d’obbligo, dal datore di lavoro. Tra le malattie riscontrate la maggior parte risultano inerenti alla tipologia di lavoro e alle condizioni lavorative: patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, da sollevamento pesi o da postura lavorativa, patologie allergiche per esposizione ai numerosi allergeni che si riscontrano in natura e patologie cutanee. Anche dal punto di vista dell’integrazione sanitaria e dell’accesso alle cure emergono forti elementi di criticità dal momento che all’interno del campione intervistato il 50% delle persone regolarmente soggiornanti ha dichiarato di non essere iscritta al Servizio Sanitario Nazionale”.
Delle 177 persone intervistate con l’ambulatorio mobile, l’87% era impiegato in agricoltura, l’85% era composto da uomini, l’età media è risultata essere di 35-36 anni e i principali paesi di provenienza sono stati il Marocco (85%), l’Algeria (6,2%) e la Romania (5,7%). Come rilevato anche nella Piana di Gioia Tauro si tratta di una popolazione titolare di un regolare permesso di soggiorno in oltre il 70% dei casi. Tuttavia, a differenza degli stranieri impiegati in agricoltura in Calabria, non vi sono rifugiati né titolari di protezione internazionale, bensì persone in possesso – in più dell’80% dei casi – di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. (Raffaella Cosentino)