L’Ucraina e la “preponderanza dell’etica della convinzione”
ROMA – E' opportuno inviare armi in Ucraina, per sostenere la resistenza all'attacco di Putin? O esistono altre “armi” contro la guerra? Il pacifismo esiste ancora? E cos'ha da dire in questa crisi in cui l'Europa e la Nato hanno la responsabilità di dare una risposta a Putin, limitando il più possibile i danni e soprattutto i morti? Il dibattito, ma forse sarebbe meglio dire il dilemma, è più acuto che mai: Redattore Sociale offre il proprio spazio per ospitare il confronto tra chi, pur appartenendo allo stesso “terzo settore”, si trova oggi su posizioni diverse e contrarie. Ospitiamo l’intervento di Fabrizio Battistelli.
Leggi anche le voci di Daniele Novara (pedagogista e fondatore del Centro psicopedagogico per la gestione dei conflitti), Mauro Montalbetti (presidente Ipsia), Silvia Stilli (portavoce di AOI qui il suo intervento), Luca Lo Presti, presidente di Pangea onlus (leggi qui il suo intervento) e Ugo Melchionda (corrispondente italiano di OCSE per l’International Migration Outlook e Coordinatore e portavoce di GREI250, leggi qui il suo intervento).
Etica della responsabilità, armi nucleari e guerra in Ucraina
di Fabrizio Battistelli*
Ha ragione Ugo Melchionda su Redattore sociale a cercare una strada tra chi vuole aiutare l'Ucraina vittima dell'invasione russa con mezzi esclusivamente politici e chi pensa che per aiutarla siano indispensabili mezzi militari. Posta in termini dicotomici, senza sfumature e senza intrecci fra le due tesi, la questione è difficilmente risolvibile. Forse un barlume nell'’ora più buia’ affiora dalla constatazione, e quindi dalla possibile previsione, che l'analisi teorica tende alla dicotomia, mentre la realtà pratica è assai meno lineare e tende a molteplici intrecci fra direzioni diverse. È quindi probabile che l'esito dell'orrido conflitto in atto sarà un punto di caduta tra la legittima e coraggiosa determinazione degli ucraini a difendere con tutti i mezzi la propria terra e la capacità del resto del mondo di esercitare su Putin una pressione economica e diplomatica talmente forte da generare un cessate il fuoco e l'apertura di un vero processo negoziale.
Ottima l'idea di Melchionda di usare, per capire meglio, la distinzione che Max Weber opera nel suo scritto La politica come professione (quest'ultima nel senso di vocazione, non certo di banale "mestiere") tra l'etica della convinzione e l'etica della responsabilità. Per il sociologo tedesco la prima delle due etiche si basa su principi assoluti che prescindono dalle conseguenze delle azioni, ed è propria del "religioso" e del "rivoluzionario" (ma, aggiunge, anche del "fanatico").
La seconda invece si concentra sul rapporto mezzi/fini e soprattutto sulle conseguenze. Non mi convince, invece, l'applicazione della prima etica ai pacifisti "assoluti" (molto pochi, in verità) che, "senza se e senza ma", negano il diritto degli ucraini a ricevere armi per sostenere la resistenza e della seconda etica ai "resistenti" (diciamo così) che sono per un supporto concreto ai soldati e ai volontari ucraini nella difesa del loro paese e della loro vita.
In realtà, più che all'interno del movimento pacifista, questa dialettica mi sembra rintracciabile sulla scena politica in generale.
Sembra a me che un'etica della convinzione circa l'adesione a valori (tutt'altro che irrilevanti) quali la sovranità di un paese, la libertà di un popolo, la sua aspirazione a un determinato modello di vita piuttosto che a un altro, sia fatta propria da un ampio schieramento dell'arco politico e mediatico italiano. Ascoltando le voci degli esponenti dei partiti e assistendo ai talkshow, vedo preponderante la posizione di difesa dei valori occidentali. Essa sì, a prescindere dalla rilevanza degli argomenti addotti, basata su principi non negoziabili, che presso alcuni raggiungono i toni del "fiat iustitia pereat mundus". La giustizia, anche e soprattutto nelle relazioni internazionali non può non essere condivisa anche dai pacifisti, secondo il concetto per cui "non c'è pace senza giustizia". È tuttavia sull'affermazione che, in caso contrario, "perisca il mondo" che c'è da discutere. Proprio questa sembra a me un'etica della convinzione. Che sottovaluta, se affermata e recepita alla lettera, il peso delle conseguenze, rilevante sempre ma oggi gravissimo, in uno scenario dove sono presenti alcune centinaia di testate nucleari. Dove il piano inclinato dell'azione/reazione non incontra più i limiti oggettivi, materiali e tecnologici del 28 giugno 1914 (tanto per fare l'esempio di una guerra mondiale non veramente voluta da nessuno).
Nel dibattito comprensibilmente coinvolgente, a volte addirittura esasperato, di questi giorni, il grande assente è la minaccia nucleare. Ovvero l'ipotesi, sfortunatamente non escludibile a priori, che da un incidente che coinvolga un reparto o anche un singolo sistema d'arma della Russia e di un paese della Nato, si possa innescare un'escalation incontrollabile. A parte la funzione apotropaica di tacerne, stupisce la rimozione del tema nucleare da parte dei politici italiani. Con tutta probabilità un argomento scabro e respingente come le dottrine strategiche, e in particolare il ruolo della tecnologia nucleare, sono del tutto estranei all'esperienza e alla formazione di una classe politica che, anche per motivi anagrafici, non ha una visione chiara della progressiva erosione della deterrenza nucleare sperimentata negli ultimi ventitré anni di mondo post-bipolare. È un paradosso, ma chi esprime la maggiore cautela, a fronte dell'emotività diffusa tra i leader europei, è proprio il governo degli Stati Uniti, a tutt'oggi la maggiore potenza militare e nucleare del pianeta. Per tempo e con chiarezza il presidente Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti non effettueranno un intervento militare per contrastare l'invasione. Suoi portavoce hanno ribadito che nei cieli di Ucraina non verrà creata una no-fly zone chiarendo, a chi ne chiedeva la ragione, che lo scopo era evitare che un mezzo americano venisse a contatto con un mezzo russo innescando la Terza guerra mondiale. Non ritengo che questa posizione degli Stati Uniti esprima mancanza di coraggio, piuttosto un barlume di responsabilità nel buio della politica di potenza che sembra regolare il mondo.
* presidente dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo – IRIAD