Migranti, le 6 misure sicure e realizzabili per evitare le morti in mare
- ROMA – Dall’asilo diplomatico al reinsediamento e ai programmi di sponsorizzazione, fino a un uso più flessibile dei visti e alle procedure d’ingresso protette. Sono queste le soluzione concrete e sicure, alternative ai viaggi in mare, che possono permettere alle persone in fuga di arrivare in Europa senza rischiare la vita. Lo spiega il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) in una pubblicazione dettagliata dal titolo “Ponti non muri”, finanziata da Unipol Gruppo Finanziario e presentata oggi a Roma.
“Nel 2015 nel Mediterraneo sono morti 3.770 uomini, donne e bambini, e dall’inizio di quest’anno i morti e dispersi sono già 244 (dati Oim). Altrettanto pericolosa è diventata anche la rotta balcanica – spiega il Cir -questa è una crisi umanitaria che coinvolge migliaia di persone in cerca di protezione, per la quale non è stata ancora trovata una soluzione. Una tragedia senza fine”. L’obiettivo della pubblicazione è dunque proporre una serie di misure realizzabili per consentire a rifugiati e richiedenti asilo di arrivare in modo protetto e legale nel nostro continente.
Nello specifico i meccanismi proposti dal Cir sono 6. E hanno in comune diversi aspetti: innanzitutto l'identificazione avviene prima dell'arrivo del richiedente nello stato di destinazione, anche l'accoglienza e l'integrazione sono programmate prima del suo arrivo. Ma soprattutto i profughi arrivano direttamente nei paesi di destinanazione, superando nei fatti il Regolamento Dublino III.
Il primo è il cosiddetto “asilo diplomatico”, cioè l’asilo concesso da uno Stato al di fuori del suo territorio, in particolare presso le sue rappresentanze diplomatiche (asilo diplomatico), a bordo delle sue navi nelle acque territoriali di un altro Stato (“naval asylum”), dei suoi aerei e presso le sue basi militari o para-militari collocate in territorio straniero. L’asilo diplomatico offre la possibilità al cittadino di un paese, generalmente perseguitato dalle autorità di quest’ultimo, di rifugiarsi nella sede di un’ambasciata di un altro Stato, per poi essere trasferito nel territorio di tale Stato.
La seconda misura, prevista anche dall’agenda Ue è il reinsediamento, che rappresenta, secondo il Cir “una delle tre soluzioni durature per i rifugiati insieme all’integrazione nella società di accoglienza e al rimpatrio volontario”. Il reinsediamento è uno strumento di protezione e di condivisione delle responsabilità a livello internazionale, poiché consente a persone che hanno trovato rifugio in un paese terzo il trasferimento in un altro Stato che ha accettato di ammetterle come rifugiati e che permette loro di stabilirsi nel proprio territorio in modo permanente. Gli Stati di reinsediamento assicurano la protezione fisica e legale dei rifugiati re insediati ai quali è garantito il diritto all’accoglienza, l’esercizio di diritti civili, sociali, politici e culturali simili a quelli assicurati ai propri cittadini.
Il terzo strumento sono i programmi di ammissione umanitaria, a cui alcuni stati hanno già aderito a seguito di appelli da parte dell’Unhcr, delle organizzazioni internazionali e delle ong. L’ammissione umanitaria è il processo attraverso cui gli stati ammettono gruppi di popolazioni di rifugiati vulnerabili presenti in paesi terzi, in modo da garantire loro una protezione temporanea per motivi umanitari. L’ammissione umanitaria non deve essere confusa né con lo status di protezione umanitaria o sussidiaria riconosciuto durante la procedura di asilo nel territorio di uno Stato, né con i visti umanitari rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche dello Stato in cui vengono ammessi i richiedenti presenti nei paesi terzi. Questo strumento è, infatti, complementare ai programmi di reinsediamento tradizionali: può essere utilizzato nei confronti di popolazioni rifugiate che vivono in situazioni di estrema vulnerabilità e/o di insicurezza, e di coloro che necessitano di protezione urgente. L’ammissione umanitaria prevede una procedura accelerata che consente ad un gran numero di rifugiati di essere trasferiti velocemente da uno Stato all’altro.
Tra le proposte anche quella della cosidetta sponsorizzazione di rifugiati, una misura già attiva in paesi come il Canada e la Germania. Si tratta di un meccanismo di ingresso protetto che viene attuato grazie alla volontà e alla disponibilità di risorse finanziarie messe a disposizione da privati, che vogliono promuovere l’ammissione ed il soggiorno di rifugiati sulla base di accordi specifici con le autorità del paese interessato. La sponsorizzazione privata consente di sormontare gli ostacoli di ordine amministrativo e finanziario e prevede un ampio coinvolgimento della società civile ( non solo singole persone o gruppi, ma anche ong e organizzazioni religiose) che partecipa attivamente al processo di accoglienza e di integrazione dei beneficiari in quanto si stabilisce un rapporto diretto tra lo sponsor ed il rifugiato.
Per l’ingresso sicuro si può poi utilizzare anche una politica flessibile del regime dei visti, secondo il Cir. “Le politiche sempre più restrittive dei visti mirano, infatti, a limitare significativamente le partenze di coloro che sono costretti a lasciare i loro paesi di origine e/o di transito, influenzando notevolmente lo spostamento dei flussi migratori da uno Stato all’altro, da una regione all’altra – spiega l’organizzazione -. In passato, alcuni Stati europei hanno rilasciato visti per motivi umanitari per consentire l’ingresso nei loro territori a persone o categorie di individui che avevano perlopiù urgente necessità di protezione in base alla loro legislazione interna e/o per decisioni adottate eccezionalmente ed in modo discrezionale”. I visti per motivi umanitari rientrano, infatti, nella categoria dei meccanismi di ingresso protetto e possono essere altresì utilizzati ad integrazione di altri strumenti di protezione dall’estero, quali ad esempio il reinsediamento, le ammissioni umanitarie e temporanee o le sponsorizzazioni private.
Infine, l’ultimo strumento è quello delle procedure di ingresso protetto (Pep) che consentono a uno straniero “di rivolgersi alle autorità del potenziale Stato di accoglienza, al di fuori del suo territorio nazionale, allo scopo di presentare una domanda di asilo o di altra forma di protezione internazionale, (e) di ottenere un visto d’ingresso in caso di accoglimento di tale richiesta, rilasciato in via preliminare o definitiva”. Le Pep sono caratterizzate principalmente dalla volontà di offrire ad ogni richiedente protezione alternative legali ai canali di migrazione irregolare, impedendo così partenze e arrivi disordinati. Contrariamente ai programmi di reinsediamento, di trasferimenti e ammissioni umanitarie rivolti principalmente a gruppi più o meno consistenti di persone, che vengono generalmente selezionate in un campo profughi o in centri di selezione ad hoc situati in paesi terzi, le procedure di ingresso diplomatico, come l’asilo diplomatico, consentono ai singoli individui di chiedere protezione presso le rappresentanze diplomatiche di uno Stato. (ec)