8 marzo 2022 ore: 14:06
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Pacifismo. Silvia Stilli (Aoi): “Inviare le armi in Ucraina? Grave errore di strategia politica”

La portavoce della Rete delle ong italiane interviene nel dibattito di questi giorni sulle scelte di Italia ed Europa sul conflitto in Ucraina. Sono davvero le armi l’espressione massima della nostra solidarietà? Riescono a placare le guerre?
Foto da Agenzia DIRE Silvia Stilli, portavoce Associazione delle ong italiane (Aoi)

E' opportuno inviare armi in Ucraina, per sostenere la resistenza all'attacco di Putin? O esistono altre “armi” contro la guerra? Il pacifismo esiste ancora? E cos'ha da dire in questa crisi in cui l'Europa e la Nato hanno la responsabilità di dare una risposta a Putin, limitando il più possibile i danni e soprattutto i morti? Il dibattito, ma forse sarebbe meglio dire il dilemma, è più acuto che mai: Redattore Sociale offre il proprio spazio per ospitare il confronto tra chi, pur appartenendo allo stesso “terzo settore”, si trova oggi su posizioni diverse e contrarie. Iniziamo, oggi, con due “pensieri pacifisti”: quello del presidente di Pangea onlus Luca Lo Presti (leggi qui il suo intervento) e, qui di seguito, quello della portavoce della Rete delle ong italiane, Silvia Stilli.

Un grave errore di strategia politica

di Silvia Stilli*

A piazza San Giovanni a Roma, sabato scorso, le voci e le presenze che hanno chiesto di fermare la guerra erano tante ed esprimevano posizioni articolate. Al centro l’incondizionata condanna all’invasione della Russia e la piena solidarietà al popolo ucraino. Una solidarietà che non si può nè si deve fermare alle parole enunciate, ce lo dice la conta delle persone morte in questi giorni di bombardamenti e scontri, tra cui troppi bambini, e in fuga per la libertà sulla rotta balcanica. Sono immagini che purtroppo conosciamo con la guerra in Siria. I viaggi dei disperati nei barconi dei trafficanti nel Mediterraneo ci portano ai conflitti aperti in Africa e alla povertà assoluta da cui si cerca salvezza in un cammino tra deserti e mare aperto. Ma sono davvero le armi l’espressione massima della nostra solidarietà? Riescono a placare le guerre? Sembrerebbe così oggi nel caso ucraino, laddove l’Europa ha dato priorità al sostegno militare al Paese. Personalmente comprendo e sostengo la libera scelta delle tante persone in quelle terre tormentate che vogliono difendersi e lo fanno attivamente oltre il proprio esercito: le donne curde combattenti nel conflitto siriano sono state un simbolo di speranza e le abbiamo sostenute. Poi sono state lasciate sole, ma non voglio indagarne qui adesso il perché. 

Sono nipote della Resistenza contro il fascismo e cresciuta tra religione e politica internazionale leggendo le ragioni di quella chiesa cattolica sudamericana che ha prodotto la teologia della Liberazione. Penso che i giovani stranieri che sono andati volontariamente a combattere accanto ai curdi in questi anni esprimano le medesime cariche emotive e le idee di quanti lo fecero in altri tempi nella guerra in Spagna. E le rispetto. Ma oggi si parla di altro. L’Europa non riesce a costruire una politica internazionale coesa e una idea di sicurezza che prescinda dall’impegno a fermare il flusso migratorio alle proprie frontiere o a esternalizzarle, sostenendo prioritariamente con gli aiuti inPaesi africani che si prestano a bloccare chi fugge da violenze e fame. È un dato di fatto. L’Europa fatica a mettere spalle al muro l’Ungheria di Orban, che cancella i diritti civili e al proprio interno ha un’Austria già preoccupatissima per l’arrivo dei migranti ucraini. 

Questa Europa che arma l’Ucraina non riesce a progettare una forza militare unitaria di difesa. Troppi gli interessi geopolitici nazionali e delle lobby delle armi che guidano settori di profitto delle singole economie. La scelta europea di inviare aiuti e armamenti militari in quell’area di conflitto non la leggo neanche come un tentativo importante di costruire egemonia diplomatica. La Nato, dopo l’occhiolino a Volodymyr Zelens’kyj, di fronte all’invasione russa si è fatta da parte e ha lasciato all’Europa la ‘patata bollente’: e soprattutto i Paesi europei aderenti all’Alleanza militare atlantica hanno deciso supinamente di supplire al ruolo vacante. Decidere nell’Ue l’applicazione delle sanzioni appieno alla Russia non è stato immediato, noti i tentennamenti di chi ha interessi sull’ approvvigionamento di gas e grano, tra cui l’Italia. Il nostro Paese, colpevolmente in barba a quanto afferma l’art.11 della nostra Costituzione che ripudia la guerra come risoluzione delle controversie, ha scelto l’invio delle armi al governo ucraino pur non essendo ingaggiato in alleanze e accordi che lo richiedevano, appunto. Sì, ritengo questa scelta un grave errore di strategia politica, un farsi da parte della diplomazia, che oggettivamente perde autorevolezza e ruolo, senza aver definito prospettive e priorità per il futuro in quell’area ad Est così importante e pericolosa per i Paesi di confine. Facenti parte dell’Unione e no. Infine, l’autonoma azione UE nell’intervento con l’invio di armi non ha minimamente coinvolto le Nazioni Unite. Ormai si è di fatto deciso, lo dimostra anche la guerra in Siria e i conflitti in Libia, che quel consesso chiamato a garantire politiche di dialogo e pace, deve continuare la sua lenta agonia. Perché tale oggi è. 

Chi vuole la pace e la giustizia nel mondo non ci sta, chiede la ripresa della spinta diplomatica con un protagonismo forte dato alle Nazioni Unite. Non è facile, certamente e soprattutto con queste scelte interventiste, ma, come Papa Francesco in solitudine sta continuando a fare, occorre dare priorità ancora alle ragioni del dialogo e all’azione non violenta. Bisogna pretendere corridoi umanitari in Ucraina e accessibilità alle organizzazioni umanitarie per gli aiuti. Le associazioni impegnate nei Paesi di confine nella prima accoglienza ai profughi devono ricevere sostegno e non avere ostacoli dalle istituzioni. Queste erano ieri e sono oggi le priorità per evitare altre morti e disperazione.

* Portavoce dell'Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI)
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