9 maggio 2016 ore: 15:37
Immigrazione

Protesta nell'hotspot di Lampedusa, parrocchia e attivisti solidali coi migranti

Sono 57 i profughi, tra cui una donna incinta, che manifestano contro la situazione nell’hotspot. Caritas: “Relocation va rivista”. Mediterranean Hope: “Non possono essere lasciati soli”
Hot spot di Lampedusa. Protesta dei migranti. Cartelli

PALERMO - Vogliono andare via dall'Isola al più presto. Sono un gruppo di 57 migranti (eritrei, yemeniti, somali) che accolti nell'hotspot di contrada Imbriacola, a Lampedusa, nei giorni scorsi si sono volontariamente allontanati dal centro dormendo all'aperto davanti alla chiesa di San Gelando. Lamentano le condizioni di permanenza nell'hotspot che avrebbe parecchie carenze strutturali e soprattutto rifiutano di sottoporsi al foto-segnalamento. Una situazione non nuova per il centro dell'Isola dove all'interno del centro si registra il numero maggiore di arrivi di immigrati.

Tra i 57 migranti ci sono 5 donne di cui una donna incinta, quasi tutti uomini e una decina di minori. I migranti, secondo quanto riferiscono gli attivisti dell'associazione Askavusa che hanno raccolto e tradotto le loro parole dicono "di sentirsi in prigione senza comprendere la ragione, si lamentano delle condizioni del centro, esprimono il bisogno di andare via da Lampedusa prima possibile per raggiungere le mete del loro progetto migratorio"."Sicuramente non possono essere lasciati soli. Abbiamo fin da subito assistito queste persone portando il cibo - dice Alberto Mallardo Mediterranean Hope - e altri beni di prima necessità che hanno fornito pure altri volontari. Nonostante la solidarietà di alcuni, proprio perché c'è una parte della popolazione dell'Isola che manifesta un certo disagio, adesso ci aspettiamo che le istituzioni preposte possano attivare al più presto una mediazione sociale. Comprendiamo che la situazione è molto delicata è sicuramente lo sforzo delle istituzioni dovrà essere maggiore".

"La loro intenzione, almeno iniziale, è quella di allontanarsi al più presto dall'Isola - continua l'attivista - senza lasciare le impronte digitali. Li abbiamo informati che ormai l'approccio hotspot in vigore dallo scorso ottobre prevede che i trasferimenti in altri centri avvengano soltanto previo foto-segnalamento. La situazione per il momento è di stallo e non pensiamo che questa tranquillità porti a niente da tutti i punti di vista. Sicuramente è una situazione che era prevedibile che accadesse purtroppo dettata da decisioni europee. Pertanto vogliamo che chi di dovere si assuma le proprie responsabilità evitando lo scoppio di altre tensioni per aprire canali di dialogo nell'interesse dei migranti in primis e degli stessi lampedusani".

Anche la diocesi, come ha fatto anche in altre occasioni, ha manifestato la sua solidarietà ai profughi. La parrocchia di Lampedusa nel pomeriggio di ieri ha aperto, infatti, le porte della chiesa ai manifestanti per offrire loro un riparo dalla pioggia, anche in attesa dell’arrivo in serata del cardinale Montenegro che ha parlato ai lampedusani cercando di calmare gli animi. "Da loro parte quel grido che dice che ogni uomo ha la sua dignità e per quella si deve fare di tutto - ha detto il cardinale -. Vedere degli uomini che reclamano il loro diritto alla vita, fa interrogare".

"Si tratta di persone che temendo di non potere essere ricollocate nei paesi dove hanno parenti e amici - dice pure il direttore della Caritas Valerio Landri - si rifiutano di farsi identificare. Per uscire da questa impasse in cui da una parte c'è la loro ragione e dall'altra quella delle istituzioni che devono foto-segnalare come l'Europa richiede, l'unica soluzione è quella di sforzarsi a tutto campo per favorire in tutti i modi una buona mediazione sociale". "Anche la relocation andrebbe rivista e favorita molto più rapidamente - continua Landri -. Tra l'altro percepiamo che proprio per questi evidenti rallentamenti non sappiamo quanto venga loro oggi realmente garantita. Il sistema sappiamo che sta subendo degli ingolfamenti e anche il foto-segnalamento, se ben spiegato attraverso precisi canali di dialogo ad opera dei mediatori culturali, in un certo senso, garantisce alla persona certi diritti e soprattutto allontana la possibilità reale per loro, con tutti i pericoli del caso, di mettersi in mano ai trafficanti di uomini". (set)

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