Sotto il cielo di Roma. Donne senza dimora
Una donna senza dimora in strada. Foto di Binario 95
ROMA – Delle oltre 20mila persone senza dimora prese in carico ogni anno dai servizi sociali nella Capitale 1 su 4 è donna. In vista dell’8 marzo Redattore Sociale e Binario 95 hanno realizzato il reportage “Sotto il cielo di Roma. Donne senza dimora”: un’indagine sul campo per comprendere chi sono le donne senza dimora nella Capitale, quali strategie mettono in atto per affrontare una vita così difficile e insicura e quali sono i progetti avviati per sostenerne la crescita personale e l’autonomia.
Il lavoro giornalistico è stato svolto da Antonella Patete, con il supporto grafico di Diego Marsicano, la supervisione organizzativa di Valentina Difato e l’imprescindibile supporto degli operatori e delle operatrici di Binario 95. Un ringraziamento particolare va a tutte le persone che hanno accettato di accompagnarci in questo viaggio e di raccontarci la loro storia.
Binario 95 è il Polo sociale di accoglienza e supporto per persone senza dimora, sito alla stazione di Roma Termini, uno degli snodi ferroviari più grandi d’Europa, finanziato da Roma Capitale in locali concessi in comodato d’uso gratuito da Ferrovie dello Stato Italiane alla cooperativa sociale Europe Consulting Onlus. Con il suo Centro diurno e notturno, lo sportello di orientamento sociale Help Center, il Magazzino sociale cittadino NexTop MSC, l’unità di strada HCM (Help Center Mobile) e le case di accoglienza (Casa Sabotino e Casa 95), Binario 95 rappresenta da oltre 20 anni un punto di riferimento per coloro che versano in condizioni di povertà, disagio ed emarginazione sociale nella città di Roma.
"Sotto il cielo di Roma. Donne senza dimora" è anche un volume
Leggi con più calma il nostro reportage in una particolare veste grafica e in un'unica raccolta, adatta al digitale o alla stampa. E se conosci qualcuno a cui può interessare, diffondila!
SCARICA IL REPORTAGE IN FORMATO PDF
Stazione Termini, esterno notte
Sono quasi 24mila le persone senza dimora prese in carico ogni anno dai servizi sociali nella Capitale. Di queste 1 su 4 è donna e, tra le donne, quasi 1 su 3 è italiana. Secondo gli operatori di Binario 95, nell’area Termini-Esquilino stanziano quotidianamente circa 80 persone senza dimora, tra cui 10-15 donne
Donne, salute e quella cosa chiamata violenza
Problemi psichiatrici, maternità perduta e violenza sulla strada e prima. Sono molte le iniziative di Binario 95 per tutelare le donne, tra questi “Empowomen” e “Dottor Binario
Casa Sabotino, un porto franco per una nuova partenza
Al momento nella casa vivono 18 donne tra i 20 e i 77 anni, provenienti da 14 Paesi diversi. Qui ognuna comincia un percorso tagliato su misura
Yumalay, dalla Colombia all’Italia e il sogno di diventare donna
Arrivata in Italia per amore, si trova a convivere con un uomo pericoloso. Stando a Casa Sabotino ha potuto riprendere il percorso di transizione di genere interrotto
Magda, un nuovo inizio dopo la vita in strada
Romena di origine, nei 17 anni che ha trascorso in Italia ha conosciuto di tutto: la vita in strada, i lavori precari, l’alcol, la violenza, lo stupro di gruppo. È una delle ospiti di Casa Sabotino
Tina, “Ho perso il lavoro e la casa per la malattia”
Ucraina, si è ritrovata in difficoltà la diagnosi. A Casa Sabotino ha cominciato a curarsi con serenità. Nel cuore la preoccupazione per il figlio che vive ancora a Kiev
Introduzione
di Alessandro Radicchi
Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95, presidente di Europe Consulting Onlus.
C’è un vuoto narrativo nel racconto – negativo, realistico o apologetico che sia – delle persone senza dimora: riguarda le donne. Non che di donne in condizione di marginalità sociale non si parli, anche nei giornali, soprattutto quando sono vittime di violenza. Eppure sembra che ci sia una sorta di pudore, forse più che disinteresse, che impedisce di addentrarsi in un universo tanto complesso. O di vergogna. È abbastanza evidente, infatti, che dietro la discesa di una donna verso l’homelessness è difficile non accorgersi della responsabilità degli uomini: dei padri, dei mariti, dei compagni, degli sfruttatori, dei figli. La donna, si dice, è talmente impegnata a occuparsi di qualcuno, che finisce a non pensare più a se stessa, riducendosi, nei casi più estremi, ad esaurire tutte le energie che la terrebbero a galla. È lei che sopporta, che emigra per curarsi di famiglie diverse dalla sua, che viene menata, segregata, oppure buttata in strada alla mercé di chiunque, talvolta anche da altre donne. È lei che non ha tempo per la sua salute, per il suo aspetto, per la sua istruzione. È lei, in fondo, a essere umiliata anche quando perde la sua casa e i suoi affetti. A essere guardata con riprovazione quando cammina lungo la spiaggia a vendere collane perché porta con sé, in braccio, il suo bambino, che non saprebbe a chi lasciare. A essere guardata con disprezzo quando si deve chinare dietro una macchina, perché non ci sono bagni pubblici gratuiti dove andare. A essere giudicata quando – avviene di rado, ma avviene – sta seduta in mezzo ad un gruppo di uomini ubriachi: forse sono gli unici che la proteggono. A essere additata quando sistema i suoi cartoni a Piazza dei Cinquecento, come se nella città del parcheggio selvaggio, dell’immondizia perenne, delle erbacce incontaminate, fossero due vecchie signore disperate a rovinare il panorama. Eppure è lei a resistere di più rispetto agli uomini, perché quando una donna lotta non lo fa solo per sé stessa ma per le persone che ama.
A Binario 95 in questi 20 anni di accoglienza, di donne ne sono passate tante: pazze e pittoresche, tenaci e creative, consumate e incontenibili, aggressive e simpatiche, stanche e fanatiche, belle, stralunate, indimenticabili.
Penso a Maria Rosaria, un’incredibile napoletana perduta in un delirio persecutorio e fantascientifico, vissuta per anni sulla banchina del binario 1, dormendo su un cartone, per poi il giorno stesso in cui si decide finalmente ad accettare le cure di una struttura sanitaria, muore in ospedale nelle stesse ore in cui il figlio, finalmente rintracciato, torna dall’Australia per vederla un’ultima volta dopo anni di lontananza. A Giovanna, star, suo malgrado, di “Roma fa schifo”, fotografata nel suo degrado dai censori del buon costume e accompagnata lentamente a ottenere, orgogliosa e sorridente, la sua tessera elettorale: “Ora posso scegliere anche io!”. Penso ad Anna Maria , anziana e senza denti, e alle sue poesie dedicate alla madre e a un’infanzia povera e dolce, medicina per una vita poco allegra. Ricordo gli abbracci di Natalì, ucraina da lunghi anni in Italia senza avere imparato più di tre parole della nostra lingua, eppure colorata di cappelli, di fiori, di foulard: un’artista nel fabbricare oggetti di carta che tutti i visitatori di Binario 95 guardano ammirati. Penso a Rosalba e al suo viso alla Picasso sul palco a impersonare Giulietta, in uno dei tanti nostri laboratori teatrali. E Marcella, forse la prima donna intercettata nel 2003 dal nostro Help Center della Stazione di Roma Termini, ragazza incinta, giovane, persa, che abbiamo protetto fino al parto avvenuto quasi in stazione, perché lei non voleva nessuno e non voleva aiuti ma poi, quando in ospedale ha incrociato gli occhi azzurri di quel fagottino che era uscito dal suo corpo, si è sciolta e sembrava non volesse più smettere di piangere.
E oggi, 20 anni dopo Marcella, penso alle tante meravigliose ospiti di Casa Sabotino, che ha segnato per noi di Binario 95 l’inizio di un nuovo capitolo dedicato all’accoglienza di genere in una casa vera, bella, luminosa, lontana dai luoghi più difficili e pericolosi per una donna che non sappia dove vivere. Qui capita di tutto, come nella vita: chi si affeziona al luogo, ne cura i fiori, si fa carico delle altre; e chi non ce la fa, rompe un piatto, tratta male tutti, si rifiuta di dormire nel suo letto. E poi ti dice che è proprio lì, di notte, che tornano i mostri quelli che le bussavano alla porta e poi abusavano di lei; ma sapere che nella stanza accanto ora ci sono le operatrici le dà più forza questa volta non per scappare, per affrontarli. Allora tu capisci. Non insisti, ma provi a offrire un altro sostegno, magari di tipo psicologico, allargando sempre di più la rete perché impedisca altre cadute.
Una rete, fatta di impagabili cooperative, associazioni e organizzazioni, operatrici e operatori del terzo settore, che in sinergia con le istituzioni più sensibili e lungimiranti, lavorano ogni giorno ben oltre il mandato delle convenzioni o dei contratti, per poter garantire dignità e diritti a quelle persone, a quelle donne. Una rete fatta di volontari che coprono gli spazi di empatia e condivisione che spesso agli operatori, per mandato e professionalità, non è concesso di esplorare; una rete fatta di imprese come le Ferrovie dello Stato Italiane che fin dall’inizio hanno permesso a questo treno della solidarietà e dei diritti di partire dal Binario giusto, il 95. E tante altre fondazioni o persone, fantastici privati cittadini, che ogni anno, ogni giorno, comprendono quanto sia difficile questo lavoro e, ognuna e ognuno a modo suo, ci mette un pezzetto per permetterci di creare opportunità, sogni, a volte miracoli. Senza di voi non saremmo nulla.
Una rete, come quella del trapezista, che quando i fili delle certezze delle nostre vite si spezzano, è pronta a proteggerci, raccoglierci e rilanciarci in alto, per ricominciare.
È questa rete che oggi protegge anche donne transgender, forse ancora più trascurate e mal giudicate, in un sistema di accoglienza, ma anche in una mentalità diffusa, rigidamente divisa tra maschi e femmine. Basti pensare che non esistono centri di accoglienza per coppie. Anche le storie delle persone senza dimora transessuali sono poco frequentate: è ancora un mondo oscuro, comunicativamente poco interessante per i sostenitori dei progetti di accoglienza, scabroso, se non facesse sorridere dirlo. Solo pochi giorni fa abbiamo proposto a una ragazza, appena sgomberata da una tenda, l’accoglienza: “Ma io sono un uomo”, ci ha risposto, abbassando gli occhi. A noi non importava, ma lei non è venuta ancora. Non era pronta, forse.
Ecco, in questo non c’è differenza di genere: venire via dalla strada, ricostruirsi, deve fare davvero male a volte. Noi che una casa ce l’abbiamo ci aspettiamo sempre che la gente che ne è priva accetti grata, in fretta e a testa china l’offerta di un posto, ma non è così. Ci vogliono tempo, costanza, rispetto e memoria: memoria di chi la persona di fronte a noi deve essere stata, prima di finire in strada. Anche se non l’abbiamo conosciuta, dobbiamo ricordarci che c’è stata un’altra vita prima di questa presente, così grigia.
A queste donne e alla loro felicità oggi vogliamo dedicare questo approfondimento. In un momento in cui le donne finalmente sembrano riprendere spazi importanti anche nella nostra politica, noi vogliamo entrare nella vita di quelle che ancora stanno lottando e la cui voce è spesso dimenticata. Vogliamo guardarne i volti belli, forti, pieni di rughe fatte di storie impossibili, fissare i loro occhi luminosi anche se stanchi, entrare sotto la loro pelle per percepirne per un attimo il dolore e la paura ma anche il profumo e la dolcezza; comprendere come alla fine quelle stesse donne potrebbero essere nostra sorella, la nostra compagna, nostra figlia, nostra madre. E perché no, la nostra segretaria di partito o presidente del consiglio.
Buona lettura.