“Sospeso”, un fumetto racconta la fragilità della preadolescenza
BOLOGNA – Martino ha 13 anni, un amico brufoloso e sovrappeso, una madre che lo tormenta perché invece di prepararsi per andare a scuola, se ne sta in terrazza a guardare i piccioni e ad ascoltare musica. Martino è vittima dei bulli della scuola ma ha un potere, quello di fermare il tempo, semplicemente premendo il tasto “pausa” del suo walkman. E in quel tempo sospeso, può fare quello che vuole, quello che nella vita reale non fa: come dichiararsi a una delle ragazzine della scuola, fermare l’autobus prima che lo investa o scappare dai ragazzi più grandi che lo picchiano e lo prendono in giro. Martino è il protagonista di “Sospeso”, il fumetto realizzato da Giorgio Salati e Armin Barducci e pubblicato da Tunué. “Quella di fermare il tempo era una mia fantasia di quando avevo 13/14 anni – racconta Salati – perché anch’io, come il protagonista del fumetto, ero un ragazzino bullizzato e fantasticavo di potermi liberare di tutte le persone che mi pressavano fisicamente e psicologicamente e fare tutto quello che volevo. Più o meno quello che succede a Martino”. All’inizio, l’idea degli autori non era fare un fumetto sul bullismo, “ma lo è diventato man mano che recuperavo il mio vissuto emotivo di quel periodo, un processo molto difficile, quasi una sessione di psicoterapia in cui ho tirato fuori cose che avevo sepolto in un angolo della testa”, dice Salati. “Chiunque abbia un po’ di creatività o se la sia passata brutta in quel periodo si rifugiava nella propria testa, io a differenza di Giorgio nella mia fantasia diventavo invisibile, sparivo e andavo in giro indisturbato – aggiunge Barducci – ma ‘Sospeso’ non è un fumetto sui superpoteri, è un fumetto sulla fragilità della preadolescenza, quel periodo di delirio fisico, ormonale e sociale in cui sei niente e tutto allo stesso tempo”.
“Sospeso” è ambientato negli anni Novanta, il periodo in cui gli autori avevano l’età di Martino e frequentavano le medie, ma non è un fumetto autobiografico. “Questo lavoro – spiega Barducci che oltre a essere fumettista lavora nel sociale come educatore nelle scuole elementari e medie, nei doposcuola e con i detenuti – mi ha ricordato non tanto la mia esperienza attuale con i ragazzini ma quello che ho vissuto io ai tempi, anche se allora non si parlava di ‘bullismo’, il termine non era ancora usato, c’erano quelli che picchiavano e tu no, tu eri quello che evitava certe strade, le allungavi girando intorno casa o al cortile per evitarli, che non sapevi come reagire”. Spesso le botte e le prese in giro erano considerate cose da ragazzini e non se ne parlava. “Sembrava quasi una cosa connaturata al mondo degli adolescenti, un passaggio normale”, aggiunge Salati. E oggi? “Oggi se ne parla di più e non si ha la tendenza a incitare il proprio figlio a reagire quando allora se non te la cavavi da solo eri un po’ un ‘mezzo uomo’ – dice Barducci – oggi c’è più sensibilità e, spero, più persone che ascoltano i ragazzini. Anche se, a volte, tutti i protagonisti di episodi di bullismo finiscono per essere troppo sovraesposti”. Secondo Salati, “oggi il fenomeno si è trasformato. Forse c’è meno violenza fisica e più psicologica tramite il cyberbullismo. Credo che sia una cosa che è sempre esistita ma assume forme diverse a seconda di come cambia il mondo”.
Chi è il lettore di “Sospeso”? “A me piacerebbe che a leggerlo fossero i ragazzi di 17/18 anni, che ci si possono ritrovare, sia quelli che sono stati vittime sia i bulli”, risponde Salati. Ma “Sospeso” è soprattutto un fumetto rivolto agli adulti, a genitori, insegnanti o a chi lavora con i ragazzi. “Vorrei che a leggerlo fossero persone adulte per ricordare loro, per ricordarci, come eravamo da ragazzini – continua Salati – Crescendo dimentichiamo quanto possono essere drammatici certi fenomeni nella testa di un ragazzino, non si recepiscono certi segnali e li si derubrica come ‘cose da ragazzi’”. Nel fumetto c’è una scena in cui gli adulti cercano di risolvere le cose e invece le peggiorano: “I ragazzi vanno ascoltati e incentivati a parlare di quello che succede loro, intorno e internamente – conclude – ma non bisogna risolvere le cose per loro, piuttosto bisogna aiutarli a trovare modi per risolverle”. (lp)