Immigrazione: il 35 per cento dei giovani stranieri non studia e non lavora
ROMA - In Italia sono 3,2 milioni i Neet (Not in employment, education and training) ovvero i giovani che non studiano né lavorano pari un quarto dei 15-34enni. Tra i giovani stranieri la percentuale sale al 35%. Tra le donne straniere, l’incidenza raggiunge addirittura il 47,3%, ben 20 punti percentuali in più rispetto agli autoctoni. È quanto emerge dalla XXVI edizione del Rapporto immigrazione di Caritas Migrantes, presentato oggi a Roma, da cui risulta che “oltre a presentare un’incidenza di Neet particolarmente elevata l’Italia è uno degli Stati europei con il maggior differenziale a sfavore degli stranieri”. I Neet possono comprendere situazioni molto diverse: persone che hanno abbandonato gli studi precocemente, addirittura prima di aver adempiuto gli obblighi formativi (fenomeno che in Italia registra incidenze particolarmente gravi), persone che hanno raggiunto livelli di istruzione elevati ma non sono riusciti ad accedere al mercato del lavoro o a stabilizzare la propria posizione, persone – in particolare giovani immigrate o con un background migratorio – che sono transitate dai banchi di scuola a un ruolo ‘inattivo’, quello di casalinga. “Quest’ultima fattispecie ha catalizzato l’attenzione in diversi Paesi europei – si legge nel Dossier – perché rivela la persistenza, nell’ambito di alcune comunità immigrate, di modelli tradizionali di divisione del lavoro tra i generi, che relegano le giovani donne al ruolo di casalinga, con tutte le conseguenze che questo potrà comportare per la loro integrazione e per la socializzazione dei figli che metteranno al mondo”.
Il mercato del lavoro. Sono oltre 4,1 milioni i residenti di origine straniera in età da lavoro, di cui il 42,8% è occupato. Gli stranieri in cerca di occupazione sono 425 mila (pari al 10,3% del totale degli stranieri), di cui il 33,1% è proveniente da Paesi dell’Unione europea. Gli inattivi stranieri sono 1,2 milioni di cui 333 mila Ue. I dati sono riferiti al primo semestre del 2016 (Istat-Rcfl), nel secondo semestre c’è stato un aumento di occupati sia tra gli stranieri (+2.1%) sia tra gli italiani (+1,9%). Gli occupati stranieri si concentrano nelle regioni del Nord (quasi il 60%), “in generale quindi nelle regioni con la maggiore presenza di residenti stranieri si registrano percentuali più alte di occupati immigrati sul totale degli immigrati”. In particolare, il 58% degli stranieri occupati si distribuiscono tra Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto. Gli occupati provenienti dai Paesi Ue invece sono maggiormente presenti nelle regioni del Centro e del Sud. Gli stranieri sono impiegati soprattutto nei servizi collettivi e personali (28,3%), nell’industria (17,3%), nelle costruzioni (10,2%), nell’alberghiero e nella ristorazione (10,1%) e nel commercio (9,7%). Questi settori collocano il 75,6% degli occupati stranieri. “Un aspetto da notare è il diverso modello di inserimento lavorativo degli stranieri rispetto agli italiani – si legge nel Dossier – Questa ‘segregazione occupazionale’ risulta ancora più evidennte se si mette in relazione al genere. Le donne straniere, infatti, lavorano soprattutto nel settore dei servizi collettivi o alla persona, mentre gli uomini si concentrano nell’industria e nelle costruzioni”. La quota di lavoro non qualificato è del 36,5% tra gli stranieri contro il 7,9% degli occupati italiani. “Per le donne straniere occupate emerge una condizione più svantaggiata rispetto agli uomini stranieri, come si può notare a proposito della loro minore presenza nelle forme contrattuali stabili, a fronte di una loro maggiore presenza nel part time involontario a tempo indeterminato”.
Differenze salariali. La retribuzione media mensile dichiarata dagli occupati italiani è di 1.356 euro, quella degli stranieri scende a 965 ovvero il 30% in meno. Le differenze salariali risultano poi particolarmente significative per le donne. “Il part time involontario a tempo indeterminato, una delle forme contrattuali più diffuse ta i lavoratori stranieri, è quella associata ad alti differenziali salariali a danno degli stranieri rispetto agli italiani, e quindi a una condizione economica svantaggiata”. Inoltre, il peggioramento delle condizioni di disagio economico interessa in misura maggiore gli stranieri: tra il 2008 e il 2015 la riduzione delle famiglie che possono fare affidamento su un unico reddito da lavoro standard è scesa dall’82,3% al 67% (per gli italiani dall’84,6% al 79,1%). La condizione di disagio economico emerge anche dall’indagine presso i Centri di ascolto della Caritas dove in media gli stranieri rappresentano il 57,2% del totale, con forti variazioni territoriali: al Nord gli stranieri sono il 64,5% delle persone ascoltate, mentre al Sud sono di più gli italiani. I giovani che si rivolgono alla Caritas sono pochi ma tra gli stranieri la percentuale è dell’80,7%. Per questi ultimi le difficoltà sono di ordine materiale: povertà economica, disagio occupazionale, problemi abitativi.
Gli imprenditori stranieri. Al 31 dicembre 2015 le imprese di cittadini non comunitari sono 354.117 (+5,6% rispetto al 2014). La regione con il maggior numero di imprese è la Lombardia (quasi il 19% del totale nazionale), seguita da Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna. I settori in cui sono attive sono: commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, costruzioni, manifatturiero, noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese, alloggio e ristorazione. Significativa la presenza di donne titolari di impresa provenienti da alcuni Paesi: Ucraina (56,3%), Nigeria (44,8%) e Cina (46%). Più di un quarto degli imprenditori extraUe sono donne per quanto riguarda Paesi come Venezuela, Svizzera, Perù, Moldavia, Argentina.
Infortuni e malattie professionali. I lavoratori stranieri sono vulnerabili, lo dimostrano i dati sugli incidenti sul lavoro con esito mortale che li hanno coinvolti nel 2016: 196 con aumento del 20,2% rispetto al 2015. In totale i casi mortali denunciati sono stati 1.269 con un aumento del 9,6%. Per quanto riguarda le malattie professionali, nel 2015 i casi che interessano gli stranieri sono il 6% del totale (3.534 su 58.917) in leggero calo sul 2014 (dati Inail). Guardando al genere, c’è una maggiore incidenza delle malattie professionali contratte dai lavoratori stranieri sul totale (66,4%) rispetto al dato delle lavoratrici (33,6%). La media totale di genere è del 29,3%: c’è quindi una maggiore vulnerabilità delle donne straniere.
Esclusi dal mercato del lavoro. Nel secondo trimestre del 2016 le persone in età da lavoro (15 anni e oltre) che condividono la condizione di esclusione sono oltre 6,1 milioni, pari al 21% del totale (escludendo gli inattivi). Tra gli stranieri esclusi dal mercato del lavoro (il 12,1% dei lavoratori potenziali esclusi dal mercato italiano) sono maggiormente presenti, rispetto agli italiani, i disoccupati. “Il fatto che da parte degli italiani di sia meno propensione, rispetto agli stranieri, di cercare attivamente il lavoro sta nel fatto che tra i nostri connazionali vi sia una relativamente maggiore presenza di coloro che cercano lavoro non attivamente pur essendo disponibili a lavorare”. Tra gli esclusi stranieri c’è una maggiore presenza di donne (57,3%), “a conferma della loro maggiore vulnerabilità nel mercato del lavoro italiano”. Inoltre, tra la popolazione straniera in età da lavoro c’è una maggiore incidenza di lavoratrici “scoraggiate” rispetto agli uomini, “una peculiarità femminile che si può interpretare sulla base della difficoltà di conciliare tempo del lavoro e tempo di cura dei familiari”. (lp)