26 aprile 2017 ore: 12:12
Immigrazione

Tra pizza e amicizia: le storie dei richiedenti asilo accolti dalle famiglie

Sono quasi 12 mila i migranti passati, nel 2016, dall’Hub di Bologna, il centro di prima accoglienza dell’Emilia-Romagna. Di fronte a numeri tanto grandi, c’è chi ha pensato a un nuovo modo di fare integrazione: come il progetto comunale Vesta, o come “Pro-tetto rifugiato a casa mia” di Caritas
rifugiato in famiglia

BOLOGNA – “A Natale ho portato John a pranzo da mia mamma: ha scoperto l’arrosto, i tortellini, le lasagne. Credo sia rimasto a tavola due ore, affamato e sorpreso”. Valerio Serra è uno dei protagonisti del progetto comunale Vesta, portato avanti in collaborazione con la Cooperativa sociale Camelot a Bologna. Lui, la moglie Katarzyna e il piccolo Leonardo da qualche mese condividono la casa con John Owusu, 18enne ghanese arrivato a Lampedusa dalla Libia due anni fa.

Sono quasi 12 mila i migranti passati, lo scorso anno, dall’Hub di Bologna, il centro di prima accoglienza dell’Emilia-Romagna: più di 200 nuovi arrivi ogni settimana. Si tratta soprattutto di giovani uomini tra i 19 e i 25 anni. Vengono, nella maggior parte dei casi, dall’Africa occidentale. E di fronte a cifre tanto grandi, c’è chi ha pensato a un nuovo modo di fare integrazione: accogliendo i rifugiati nelle proprie case. “Di fronte alle immagini della guerra in Siria abbiamo capito che era venuto il momento di fare qualcosa: partecipare a Vesta ci è sembrata la strada migliore”, continua Valerio. Vesta al momento a Bologna è dedicata a rifugiati neomaggiorenni in uscita dai percorsi Sprar per minori non accompagnati. Dura dai 6 ai 9 mesi. Un centinaio le candidature arrivate in un anno, 23 i ragazzi già inseriti, 50 le famiglie in attesa di accogliere. 

Mentre Valerio parla, John con Katarzyna e Leonardo apparecchiano la tavola: pasta al pesto, pane, verdura, formaggio. Con una felpa rossa e un rosario al collo, John grattugia con entusiasmo il parmigiano: “Mi piace moltissimo stare qui. Mamma e papà mi aiutano tanto, sia per imparare la lingua sia per trovare lavoro e ambientarmi. Lavoro tutti i giorni, vado via presto la mattina e torno tardi la sera. Qualche volta il sabato sera usciamo insieme per una pizza, la domenica vado a messa, frequento la comunità cristiana africana che si riunisce vicino a Bologna”. 

Anche la Caritas cittadina ha scelto di muoversi in questa direzione, aderendo al progetto della Caritas nazionale “Pro-tetto rifugiato a casa mia”. In questo caso, il progetto non ha finanziamenti e tutte le spese sono a carico delle famiglie e delle comunità accoglienti. In un anno sono state attivate un’ottantina di accoglienze. “Il nostro progetto prevede l’accoglienza in parrocchia o in famiglia – spiega Ilaria Galletti, operatrice della Caritas di Bologna –, ma anche dove viene fatta in parrocchia deve essere individuata una famiglia tutor, che sia punto di riferimento per i ragazzi accolti e faccia da ponte con la comunità”. È questo il caso di Daniela Bernabè, che con il marito e le 4 figlie fa da tutor a 4 ragazzi africani che vivono in un appartamento poco lontano: “Noi li accompagniamo, facciamo un pezzo di strada insieme aiutandoli in tutte quelle cose che si trovano ad affrontare quotidianamente”, racconta Daniela. Imparare a fare la spesa e gestire i soldi, fare le pulizie e prendere la patente: “L’aspetto per noi più importante è fare sentire loro il calore, l’affetto e l’amicizia che si sta creando”. Soddisfatta dell’esperienza anche Sara, 10 anni, la figlia più piccola: “Io ho solo 4 sorelle femmine: finalmente ho anche 4 fratelli maschi. Capita anche che li aiuti per i compiti: adesso stanno studiando le tabelline, io le ho imparate due anni fa”.

Claudia e Cristiano, invece, attraverso il progetto Caritas hanno convissuto per oltre 6 mesi con Rachid, 25enne originario del Benin. Ma anche oggi che l’esperienza è terminata, le occasioni per vedersi non mancano: un aperitivo, una pizza, una passeggiata. “Le parole e gli episodi razzisti ci circondano – esordisce Claudia Girolomini –, non potevamo restare fermi a guardare. Volevamo agire, sebbene non fosse che una goccia in mezzo al mare. Mescolarsi, conoscersi: è così che si sgretola la paura che l’altro può creare in noi”. È d’accordo Cristiano Casagni: “Avere Rachid in casa è stato come avere una porta aperta su un mondo che si conosce sempre troppo approssimativamente e superficialmente. Lui ce ne ha mostrato bellezza e complessità”. Rachid, oggi, lavora in una fabbrica fuori Bologna e condivide un appartamento con altri amici: “Da loro mi sono trovato benissimo, è stato una grande esperienza – conferma –. Ci siamo capiti, non c’erano differenze tra di noi. Il momento più bello che abbiamo passato insieme? La gita a Roma: non c’ero mai stato. Sono restato impressionato: quella giornata non la dimenticherò mai”. Intanto, sul cellulare, scorre le immagini di loro tre, sorridenti, di fronte al Colosseo e alla Fontana di Trevi: “Ma mi piace vivere a Bologna: è molto accogliente, in altre città non è così”. (Ambra Notari) 

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