Detenute madri e figli minori. Tra icam, nidi e case protette
I numeri salgono e scendono e le riforme normative provano a migliorare la qualità di vita nel “superiore interesse del minore”. Tuttavia la realtà dei bambini minori di 3 anni, in carcere con le proprie madri, non è cambiata di molto negli anni: da tempo le associazioni che si occupano del tema sollecitano una riflessione sull'opportunità che bambini nei primi anni di vita debbano costruiscono il proprio universo attraverso le sbarre di una cella e le figure di riferimento di un carcere.
Secondo i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) negli ultimi cinque anni (2016-2020) le presenze si sono attestate intorno ai 50 minori e il dato è sostanzialmente stabile negli ultimi 25 anni, con picchi di presenze superiori nel 1999 e 2000, con 70 e 78 bambini ristretti, e quello più basso nel 2015 con 28 bambini. Al 31marzo 2021 (ultimo dato disponibile) sono 26 le madri e 28 i bambini presenti tra sezioni nido delle case circondariali e gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam): 12 le donne italiane (con 14 bambini) e 14 le straniere con altrettanti figli.
Complice la pandemia, nella primavera 2020 si è registrato “un apparente e temporaneo svuotamento”, ma negli ultimi mesi gli ingressi in carcere di detenute con figli piccoli al seguito sono tornati a crescere. Secondo l'ultimo rapporto dell'associazione Antigone, "Oltre il virus" ," la crisi sanitaria ha spinto la magistratura di sorveglianza ad adottare con solerzia le misure di legge disponibili per aprire ai bambini i cancelli degli istituti. Se alla fine di febbraio si contavano 59 bimbi nelle carceri italiane, al 30 giugno 2020 erano 33, essendo diminuiti di oltre il 44%. Ciò dimostra come la presa in carico caso per caso delle singole situazioni possa, quando vi è la volontà di farlo, far ravvisare soluzioni individualizzate capaci di far fronte al problema dei bambini dietro le sbarre probabilmente in misura maggiore di quanto non possano fare nuove previsioni normative, posto che le due leggi pensate a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori nel 2001 e nel 2011 non sembrano aver raggiunto analoghi risultati".
Così è cambiata la legge
La possibilità di far entrare i figli in carcere con la madre è prevista dalla legge n. 354/1975. La misura era pensata per evitare il distacco madre-bambino, poi, negli anni, sono stati modulati degli istituti alternativi attraverso due modifiche legislative, che hanno ridefinito i limiti di pena per le madri autrici di reato fuori dal carcere, a secondo dell’età del bambino. La cosiddetta “Legge Finocchiaro” (n.40/2001) e la legge n. 62/2011, meglio nota come legge sulla riforma dell’Ordinamento Penitenziario. In quest'ultima il legislatore ha introdotto nuove disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, nel corso del processo penale e durante l’esecuzione della pena, individuando le case famiglia protette e istituti di custodia attenuata come luoghi di accoglienza delle madri con figli. La legge prevede, tra l'altro, l'aumento da tre a sei anni dell’età del bambino al di sotto della quale non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere (o del padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Presentata l'11 dicembre 2019, a firma dall’onorevole Paolo Siani, pediatra e capogruppo del Pd in commissione Infanzia, e altri la proposta di legge 2298 - "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, - "senza modificare l’impianto essenziale della legge e proseguendo lo spirito delle riforma, finalizzato ad impedire che bambini varchino la soglia del carcere", si pone l'obiettivo di eliminare i "profili problematici che sono emersi in sede di applicazione della legge n. 62 del 2011". Come ha ricordato lo stesso Siani, la proposta di legge, il cui esame in Commissione Giustizia della Camera si è concluso lo scorso 4 maggio, "è il frutto di una inchiesta svolta in Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, all'esito della quale i parlamentari hanno potuto constatare personalmente il differente impatto che gli istituti di custodia attenuata per detenute madri determinano sui minori rispetto alle case famiglia".
Icam, asili nido e case famiglia
Sono 5 in Italia gli Icam, gli Istituti a custodia attenuata per detenute madri, qui la detenzione è più leggera, l’architettura a misura di bambino e il personale non è in divisa: Cagliari-Senorbì, Lauro, Milano San Vittore, Venezia Giudecca e Roma-Rebibbia. Alcuni istituti penitenziari hanno poi creato al loro interno delle sezioni nido nelle sezione femminili, per i bimbi piccoli. Ci sono poi le case famiglia protette, appartamenti veri e propri, senza sbarre o celle: la soluzione ritenuta dai più maggiormente idonea a proteggere la crescita dei bambini.
Un fondo per l’accoglienza in casa famiglia
Ha trovato un sostegno trasversale l’emendamento alla Legge di Bilancio, sottoscritto dall’onorevole Paolo Siani, quale primo firmatario e promosso da Cittadinanzattiva, A Roma Insieme-Leda Colombini e Terre des Hommes. Prevede l'istituzione di un fondo da 1,5 milioni di euro all’anno per tre anni (2021-2023), che garantisca le risorse necessarie all'inserimento dei nuclei mamma-bambino all'interno di case famiglia e comunità alloggio, idonei ad ospitarli. Una misura ritenuta dalle associazioni “una prima risposta concreta al problema e indicativa di una chiara e decisa volontà politica di farsene carico con l'adozione di misure efficaci e di sistema”. L'emendamento è stato approvato il 19 dicembre 2020. Nell’articolo che istituisce il fondo si legge: “Le case famiglia protette sono state previste dall’art. 4 della legge n. 62 del 2011 (legge che ha dettato disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori), quali luoghi nei quali consentire a donne incinta o madri di bambini di età non superiore a 6 anni di scontare la pena degli arresti domiciliari o la misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia cautelare in istituto a custodia attenuata. Attualmente, solo poche regioni sono dotate di strutture idonee a consentire l’applicazione di queste misure, con la conseguenza che detenute, con figli anche molto piccoli, restano in carcere. Entro due mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e sentita la Conferenza Unificata, provvede al riparto delle risorse tra le regioni”.Fonti: Antigone - Dpa