Roma, l’assessora Funari: “Rimettere al centro le persone. Sgomberi? Basta show mediatici”
ROMA - Coordinatrice romana di Demos, da oltre trent’anni attiva nel mondo del volontariato con la Comunità di Sant’Egidio, Barbara Funari, neo assessora alle Politiche sociali e alla Salute di Roma, il ruolo che è chiamata a svolgere lo conosce bene. Nel suo percorso professionale e politico si è occupata di integrazione, recupero e sostegno di minori in difficoltà, reinserimento sociale di pazienti psichiatrici, welfare di comunità. Eppure la sfida che l’attende per il nuovo mandato è la più difficile, in una città come Roma dove la pandemia da Covid 19 ha inasprito le diseguaglianze sociali. Redattore Sociale ha intervistato la neo assessora per capire quali interventi sociali e quali politiche porterà avanti nella Capitale.
Nelle ultime settimane sta facendo molto discutere la situazione a Termini: secondo una denuncia dei volontari che assistono i senza fissa dimora la sera viene bagnato l’ingresso della stazione per non consentire alle persone di sdraiarsi a terra. Ad alcuni è stato impedito di distribuire cibo all’interno. Qual è la sua posizione in merito? E cosa intende fare l’amministrazione?
Per quanto mi riguarda ho iniziato un’ interlocuzione con la prefettura, le Ferrovie e Grandi Stazioni, i due enti che gestiscono gli spazi della stazione, per una collaborazione sull’assistenza alle tante persone senza dimora che vivono intorno Termini. Da diverso tempo, anche da prima della pandemia, c'è un accordo con le organizzazioni per la distribuzione dei pasti nel piazzale antistante la stazione. Ci sono poi poche persone, sette, dieci, che non vanno a prendere il cibo fuori e quindi i volontari vanno dentro a distribuirlo certi che ci sia un patto non scritto che si possa fare ma alcuni hanno detto di esser stati fermati. Oggi la situazione si è rasserenata, non c’è un divieto a farli entrare. Ed è evidente che i volontari non vanno ostacolati ma vanno sostenuti, questa è stata la prima cosa che ho condiviso con Grandi Stazioni. Sulla questione del piazzale bagnato ho segnalato un mese e mezzo fa la vicenda: Ferrovie mi spiega che devono sanificare in continuazione quello spazio. Le denunce sono legittime, anche per capire se si può evitare di pulire proprio in alcuni orari. Ma va anche detto chiaramente che le persone lì non dovrebbero stare lì, per i senza dimora stessi.
Oltre la cronaca c’è, infatti, un problema strutturale: Roma è una città che, secondo le stime, ha circa quattordicimila/ventimila persone che vivono in strada e solo 2500 posti letto. Che cosa intende fare per far fronte a questa situazione nei fatti perennemente emergenziale?
Io mi attesto sempre al Censimento dell’Istat del 2014 che parla di ottomila persone senza dimora, comprendendo nella stima anche chi vive nelle occupazioni. E’ anche innegabile che i numeri siano aumentati in questi anni. Per questo sto chiedendo all’Istat di collaborare per un nuovo censimento aggiornato. In ogni caso, a novembre, quando ci siamo insediati, abbiamo trovato i posti ordinari per l’accoglienza ridotti, più della metà erano stati chiusi. La precedente amministrazione aveva previsto un piano freddo con una procedura amministrativa che, nonostante i proclami, aveva prodotto l’apertura solo di 95 posti. Non avevamo l’ordinario, quindi, e avevamo pochi posti per il piano freddo. In un’ottica di grande collaborazione con i municipi siamo riusciti ad aprire 450 posti, in tre mesi, che si sono riempiti subito. E così l’obiezione ‘tanto non voglio essere accolti’ è sempre sconfessata dai fatti. L’accoglienza in questa modalità condivisa coi municipi ci ha permesso di aprire centri piccoli, diffusi, riuscendo a rispondere anche alle esigenze dei territori e diversificando. In alcuni centri c’è la possibilità di entrare col cane, sembra una piccola cosa, ma in realtà spesso la resistenza è legata a non voler abbandonare il proprio animale. Ci stiamo concentrando anche su un’accoglienza pensata per le donne, che sono in aumento tra i soggetti in strada.
In molti casi si tratta di assistenti familiari stranieri che hanno perso il lavoro durante la pandemia.
Esattamente, è un fenomeno che dovremmo far emergere di più. Col Covid anche chi era in nero si è trovato senza avere più un’occupazione, perdendo oltre al lavoro anche la casa. La strada per molte di queste donne è stata l’unica soluzione. Quello che intendiamo fare è dare continuità a quanto fatto finora con la collaborazione dei municipi. E vogliamo trovare una modalità di accoglienza che sia più rispondente anche in un’ottica di genere.
Le associazioni romane e gli enti di terzo settore hanno lamentato negli ultimi anni una distanza con l’amministrazione: non venivano coinvolte nelle decisioni e spesso le loro richieste sono cadute nel vuoto. Eppure durante la pandemia è apparso chiaro quanto sia importante il ruolo del terzo settore in questa città. Come intende rinsaldare il legame con le organizzazioni umanitarie e di volontariato?
Lavoreremo su due fronti: innanzitutto su un livello di relazioni. Credo che Roma debba sempre tenere le porte aperte a queste realtà, deve farsi convocare e deve mettersi in ascolto del terzo settore. Durante la pandemia e i lockdown queste organizzazioni hanno aiutato tantissime persone, spesso lo hanno fatto da sole, senza l’aiuto delle istituzioni. Hanno permesso a tante famiglie di vivere e sopravvivere. Il tema del sostegno alimentare è stato drammatico, abbiamo cominciato a vedere persone che avevano fame. E non eravamo così abituati. C’è poi un tema più amministrativo, c’è l’occasione della Riforma del terzo settore che non possiamo perdere: Roma Capitale deve incominciare a lavorare seriamente in percorsi di coprogrammazione e coprogettazione. Credo che sia la via più trasparente e corretta anche per la costruzione di nuove politiche sociali. L’emergenza che ho trovato al Dipartimento, però, è quella amministrativa: c’è un problema di personale, dobbiamo lavorare per ricostruire competenza internamente. Partiremo da qui anche con la collaborazione del terzo settore che in questo sta più avanti nelle amministrazioni pubbliche.
Ci sarà un rapporto di collaborazione anche con le associazioni più piccole, quelle nate dal basso sulla spinta dei cittadini?
Roma si deve aggiornare al contesto che è nato in questo periodo intorno alle problematiche sociali e trovare strade e giusti luoghi per condividere. Avremo l’occasione di ripartire col Nuovo piano sociale cittadino, io credo che quello sia il luogo ufficiale dove aprire al dialogo e rimettere intorno a un tavolo tutti i soggetti, in maniera coordinata e continuativa. Il problema dei tavoli o delle cabine di regia è che si aprono e poi non arrivano mai da nessuna parte. Mi sto prendendo il giusto tempo per capire come avviare un percorso seriamente con le realtà cittadine, dove però sia chiaro l’indirizzo e dove vogliamo arrivare.
Uno dei temi di attualità è quello dell’emergenza abitativa. Come emerso dal Comitato per l’ordine e la sicurezza nelle prossime settimane ci potrebbero essere nuovi sgomberi a Roma. In cima alla lista c’è il palazzo di viale delle Province abitato da diverse famiglie con bambini. Come vi state muovendo per evitare che queste persone finiscano in strada?
Inizio col dire che io ero presente la notte dello sgombero a via di Cardinal Capranica, ero proprio all’interno della struttura perché conoscevo da tanto tempo le famiglie che lì vivevano. Ho provato in tutti i modi a mediare per un’uscita da quella situazione senza violenza. Ci impegneremo, lo faccio io personalmente, perché quelle scene non si ripetano. E’ stato davvero un momento triste e drammatico per la nostra città.
La foto simbolo di quello sgombero è il bambino che esce mettendo in salvo i libri di scuola, sotto gli occhi dei poliziotti.
Sì, perché quei bambini andavano a scuola e le loro famiglie erano conosciute nel quartiere. Non c’era proprio bisogno di quello show mediatico né di arrivare con tutta quella forza pubblica, che tra l’altro ha avuto costi importanti, parliamo di soldi pubblici, spesi in operazioni senza alcuna utilità. Il tema è chiudere gli spazi occupati da tanto tempo, permettendo l’uscita delle persone che ci abitano con un sostegno serio alla casa e al diritto all’abitare. E questo è già all’attenzione del Comitato ordine e sicurezza. Ci lavoreremo in maniera condivisa, le deleghe per le politiche abitative sono in capo all’assessore Zevi ma camminano insieme alla parte che mi riguarda per il sociale. Vogliamo seguire lo stesso metodo che con la regione Lazio abbiamo portato avanti per occupazioni come quella di via del Caravaggio. Questa è un’occasione e mi auguro anche che i movimenti per il diritto all’abitare la prendano come tale. Alcune di queste occupazioni le inizieremo a censire in un’ottica di accompagnamento per l’assegnazione di una casa.
Quindi offrirete delle alternative abitative stabili?
Sì, una casa. Daremo precedenza alle famiglie con bambini. Stiamo lavorando per garantire il percorso scolastico senza sradicare le famiglie da dove vivono ora, laddove è possibile. O almeno faremo in modo che i bambini possano finire l’anno scolastico e poi magari a luglio inizieranno gli inserimenti.
Si parla sempre più spesso di decoro, degrado e di azioni antidegrado. Da un report realizzato da Nonna Roma è emerso come alcune di queste azioni abbiano colpito persone in una situazione di fragilità sociale: un uomo senza fissa dimora ha ricevuto ben 187 daspo urbani. Come intende superare questa narrazione sul “degrado”, che criminalizza i più vulnerabili?
Credo che dovremmo raccontare di più le storie di chi vive per strada. In questo momento storico del nostro paese arrivano per strade persone che fino a poco tempo fa avevano una casa e un lavoro. Non sono storie così lontane da noi. Questo va comunicato di più e in questo il lavoro delle associazioni è importante anche per contrastare quello che Papa Francesco chiama in maniera efficace la “cultura dello scarto”. La cultura dell’accoglienza deve rimettere al centro il valore della persona tutta. Chi vive in strada ha un problema suo di decoro, non nostro. Quello che dobbiamo fare noi è aiutarli a ripartire.
Roma è una città caotica e spesso ostile per chi ha problemi di mobilità. Quali saranno le sue prime azioni per migliorare la vita alle persone con disabilità?
Il tema dell’accessibilità è trasversale a più assessorati. Credo però che per una città accessibile non dobbiamo solo pensare alla barriera architettonica fisica ma anche a quelle sensoriali, e lavorare perché ci sia anche un'inclusione reale nelle scuole e in tutti gli altri contesti. Dobbiamo abbattere anche le barriere culturali. Abbiamo l’occasione del Pnrr per utilizzare i fondi sugli spazi e costruire in maniera accessibile, come la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ci richiama a fare. Roma è una città grande, questo è vero, l’obiettivo è renderla vivibile da tutti.