“Badare non basta”: nel lavoro di cura è il carico emotivo a pesare di più
Il lavoro privato di cura in Italia resiste, nonostante il sommerso, la crisi e il ridimensionamento, resiste perché esiste una domanda sempre più forte di assistenza. Gli anziani non autosufficienti nel nostro paese sono 2,3 milioni e tra vent’anni la cifra raddoppierà, la cura è (e lo sarà sempre di più) una preoccupazione centrale della vita umana, soprattutto di una vita che si allunga e che, a mano a mano, diviene sempre più fragile. Di anziani, badanti e famiglie - attori tutti di uno stesso bisogno - si occupa l’interessante lavoro “Badare non basta” (Ediesse 2013, pag. 227, euro 13,00) curato da Sergio Pasquinelli, direttore di ricerca all’Irs di Milano e dalla sociologa Giselda Rusmini. Utilizzando al meglio le informazioni disponibili di un ampio database costituito da 900 interviste faccia a faccia ad assistenti familiari, raccolte nell’arco di sette anni di lavoro, e da oltre 320 interviste a famiglie, operatori dei servizi pubblici e del privato sociale, i due autori hanno tentato un bilancio sul lavoro di cura.
Restare a casa propria tra ricordi e sicurezze. La proiezione nel futuro per gli anziani è orientata dal desiderio di restare a casa propria, luogo di ricordi e di oggetti che consolano, la casa rappresenta una sicurezza è in lei che si adatta il nostro tempo. Per questo da sempre, restare tra le mura domestiche e terminare il corso della propria esistenza in condizioni di serena e protetta autonomia è l’obiettivo di chi invecchia. Ad occuparsi degli anziani sono oggi in Italia oltre 800 mila assistenti familiari (più di un milione se si considera la presenza irregolare) nella stragrande maggioranza donne, perlopiù straniere (90 per cento). Tenendo conto che una parte segue più di un anziano (duo o tre) il numero degli di ultra65enni assistiti a casa si stima intorno al milione (più del triplo di quelli ricoverati in strutture residenziali), la spesa delle famiglie in questo mercato è calcolabile, secondo gli autori, in 9,8 miliardi di euro annui. Il testo indaga le difficoltà di questo incontro, di una relazione che si instaura nei luoghi dell’anziano, dove l’assistente familiare si ritrova a vivere. Un quotidiano sconosciuto, in cui spesso è complicato muoversi, trovare soluzioni comuni. Modificare spazi o vissuti può essere percepito come un’invasione. Ma in cosa consiste il lavoro di cura e cosa fanno le assistenti familiari all’interno di una casa?
Il carico dell’assistenza “emotiva”. Non solo pulire, fare da mangiare e stirare, oltre alla gestione domestica – si legge nel testo - le badanti devono principalmente prendersi cura della persona, il che vuol dire vestirla, farla camminare occuparsi della sua igiene personale, anche lo svolgimento di attività per altri membri della famiglia rientra fra le mansioni. Fra tutte queste attività, si aggiunge e spicca, l’assistenza ‘emotiva’, che riguarda l’intrattenimento dell’anziano, il sostegno psicologico, il sostegno negli affetti, il supporto nelle relazioni sociali. La gestione emotiva dei rapporti è una parte rilevante del lavoro di cura, tanto da risultare nelle interviste prese in esame nel lavoro di Pasquinelli-Rusmini, al primo posto nella classifica delle attività svolte, più ricorrente delle mansioni domestiche. È in tale gestione – spiegano gli autori - che si addensano le fatiche e si sviluppano le criticità di un lavoro che riguarda soprattutto persone sole e isolate, nella maggior parte di queste esperienze manca una progettazione che renda meno sconvolgente un incontro dettato da due diverse necessità: il ‘male minore’ per l’anziano (perché evita l’entrata in una residenza) e l’unica certezza di lavoro per molte donne migranti.
”Badanti” e soddisfatte. Ma perché si sceglie questo lavoro? È l’unico che si è trovato per il 23 per cento delle assistenti familiari intervistate, ed è facile da trovare (21 per cento). Nonostante in quasi la metà dei casi il lavoro non viene scelto, in 4 casi su 10 è però associato ad elementi positivi di “guadagno o di gratificazione in sé” il che esprime un certo grado di soddisfazione in contrasto con una “raffigurazione del lavoro domestico di cura come sostanzialmente opprimente”. (slup)