Altro che “pensierini”, ascoltando i bambini si capisce il mondo
“Sono convinto che la scuola, se ha l’ambizione di educare alla libertà, non deve imitare ciò che accade nella società, ma operare per contrasto, in modo critico e concreto. Se vuole essere luogo di creazione culturale aperto al futuro, non deve appiattirsi sul presente”. Ed è quello che Franco Lorenzoni fa e ha sempre cercato di fare, nei suoi 30 anni di insegnamento nella scuola elementare e come racconta con passione nel libro appena uscito in libreria “I bambini pensano grande” (Sellerio editore). Non un trattato teorico o la proiezione di una scuola sognata e irrealizzabile, invece la “cronaca di un’avventura pedagogica”, di un anno di vita di una quinta elementare del piccolo paese umbro di Giove (Terni).
Filo conduttore del libro è la meraviglia davanti a quello spettacolo antico come l’uomo e che si rinnova in modo originale in ogni bambino che è la nascita del pensiero. E lo sforzo di dare forma a quel pensiero, con la parola ma anche di trascriverlo, lo stesso sforzo che ha accompagnato l’uomo in quel misterioso e fondamentale passaggio dall’oralità alla scrittura. “Ascoltando nascere giorno dopo giorno parole ed emozioni, ragionamenti, ipotesi e domande, che emergevano dalle voci delle bambine e dei bambini con cui ho lavorato per cinque anni, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte a scoperte preziose, che ci aiutano ad andare verso la sostanza delle cose e verso l’origine più remota del nostro pensare il mondo”.
- Il maestro Lorenzoni registra i pensieri dei bambini, il loro modo di elaborazione sui diversi argomenti, dalla matematica alla filosofia alle scienze, la loro creatività, il loro fantasticare. Poi li trascrive e li riconsegna agli allievi, perché questi pensieri (non “pensierini”, come con sufficienza tutta adulta venivano chiamati in un recente passato) “abbiano più valore possibile ai loro occhi” e perché resti traccia di questa “cultura viva, che si costruisce collettivamente”. Il buon maestro, sostiene Lorenzoni, è quello che dà valore, che sa restituire ai bambini la loro bellezza e la loro ricchezza. Per fare questo occorre voler ascoltare e saperlo fare, ed è faticoso non perché “bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli”, ma perché - come scriveva il medico e maestro ebreo Korczak citato nel libro - si è “obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi”.
In certi passaggi del libro sembra di incontrare il Gianni Rodari della “Grammatica della fantasia” e Mario Lodi, esponente di quel Movimento di cooperazione educativa riconosciuto come il movimento più avanzato della scuola italiana, e che ha segnato anche l’esperienza pedagogica di Franco Lorenzoni fin dal 1977 quando decise di fare il maestro.
Centrale nella didattica, per Lorenzoni, è la relazione educativa, perché è da qui che nasce la fonte prima di ogni conoscenza, è a partire da qui che si può provare a“dare forma al mondo”, ad aprire nuovi orizzonti, ad incontrare la pluralità. Nel libro si parla di “cultura infantile”, di gioco libero e disegno, di “cerchio dei racconti” dove si impara ad ascoltarsi reciprocamente; si parla di sorpresa e di attesa, quell’attesa che oggi pare bandita dall’esperienza dei bambini: e allora ecco le lettere cartacee, la corrispondenza con altri allievi di altre scuole italiane e con filosofi, artisti del Rinascimento e matematici dell’antica Grecia: “Scrivere lettere da mettere dentro buste da affrancare nel tempo di internet può sembrare un paradosso: eppure, ci vedo una possibilità interessante… l’interiorità, per dilatarsi ed espandersi in un ampio respiro, ha bisogno di tempo”. E’ questo, per il maestro di Giove, il vero “tempo reale”, quello in cui le cose trovano spazio dentro di noi.
Che i bambini possano contare sul tempo necessario a capire e a scendere in profondità è motivo cruciale nell’esperienza didattica di Franco Lorenzoni, contrario alla “scuola ad alta velocità” che corre per l’obiettivo finale delle prove di valutazione, di allievi e insegnanti. Come sosteneva la sua insegnante di matematica Emma Castelnuovo, “bisogna dare ai ragazzi il tempo di perdere tempo”. Andare in profondità è cercare di cogliere tutte le dimensioni (non solo quella piana di uno schermo, anche quando la visione è in 3D), significa non scordarsi la natura come prima maestra, l’arte come stupore e come fonte di conoscenza dell’uomo e di se stessi, la matematica come esperienza viva e utile, il teatro che consente l’immedesimazione ed è fonte di costruzione della coscienza etica; significa “cogliere nessi e risonanze tra cose diverse e proteggere tutto ciò che aiuta a creare senso, bellezza, armonia. Armonia – avverte Lorenzoni – intesa nel senso più arcaico, che sembra nomini l’esatta connessione che lega il carro all’asse che regge l’aratro. Dunque una connessione concreta, utile, efficace”. Certo, per fare così nella scuola di oggi alcuni schemi vanno rovesciati, “dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e, da adulti, proporre a figli o allievi di indossare a rovescio qualche abito mentale, sin dai primi anni”.
“I bambini pensano grande” è un libro che tutti, insegnanti, genitori, educatori, dovrebbero aver letto. (Elisabetta Proietti)