Europa e Africa, le Case delle Donne si raccontano in un libro
Da Verona a Jendouba (Tunisia), dai Paesi Baschi al Senegal, le Case delle Donne si raccontano in un libro, “Allargare il Cerchio. Pratiche per una comune umanità”, a cura di Maria Livia Alga e Rosanna Cima, numero speciale di MeTis. I saggi contenuti nel volume narrano i percorsi, le pratiche, le difficoltà e i sogni, con un desiderio: che il cerchio si allarghi, “come forma di intensificazione della presenza politica che genera cura e apprendimenti”.
"Noi non ci occupiamo delle donne, noi siamo donne”, scrivevano nel 1982 le femministe catanesi richiedendo uno spazio pubblico comunale per una casa delle donne. Questo è quello che ci ricorda Maria Livia Alga, tracciando l’esperienza della socialità femminile di Casa di Ramìa a Verona, nel suo capitolo “Quel cerchio luminoso. Le case delle donne come contesti per una formazione a partire dal sé”. Questo prezioso volume non è solo narrazione di esperienza, ma domande sulla politica istituzionale oggi, sui percorsi di formazione accademici e non, domande sul come proporre e re-immaginare lo spazio universitario o la presenza di laureandi che fanno ricerca negli spazi sociali. La metafora del cerchio rispecchia una modalità di stare insieme e di circolarità e trasmissione dei saperi che in queste esperienze di donne e di comunità vengono messe in pratica.
Questi saggi-racconti, scritti anche in coppia o da più donne, presentano percorsi di vita con un desiderio di “fare casa insieme” da testimoniare quasi come un compito che si passa tra donne. “Io credo che ogni generazione di donne abbia il compito di creare spazi di socialità femminile”, afferma Maria Livia Alga, etnografa delle pratiche politiche delle donne, facente parte del gruppo interdisciplinare Laboratorio Saperi Situati dell’Università di Verona. “Ogni generazione ha il compito di alimentare, di curare, custodire, e di trasmettere pratiche di incontro tra donne, che poi possono man mano rispondere a seconda del momento storico a istanze sociali, problemi contemporanei, però sento che questo testo sta anche in questo desiderio, di fare la mia parte”.
Houda Boukal, mediatrice culturale e presidentessa dell’associazione “Nissa” (Donne in arabo), intreccia la descrizione del suo percorso alla riflessione di Elena Migliavacca, responsabile del centro interculturale delle donne Casa di Ramìa per le pari opportunità del Comune di Verona. “Ho presentato il mio percorso, la mia lotta in Marocco, soprattutto rispetto al velo, la mia famiglia era contraria, io invece ho fatto il possibile per poterlo indossare” racconta Houda. “Quando sono venuta in Italia mi sono sentita di dover lottare un’altra volta. Questo è stata forse fragilità o forza, ognuno può vederla a suo modo. Però nel mio percorso ho cercato di creare un gruppo con cui lavorare e lottare per la stessa cosa. Vuol dire stare nella politica, stare nel femminismo, lottare per avere i nostri diritti di lavoro. Siamo noi a fare questo: il percorso di Houda che ha scelto di fare questo, insieme ad altre donne che, dalla fragilità, hanno costruito una forza, mettendoci tutte insieme”.
Con il rischio oggi che alcune Case delle Donne debbano chiudere o avere meno supporto o anche solo chiudere temporaneamente per il rispetto delle restrizioni causate dalla pandemia, la presenza di “Allargare il cerchio” è importante più che mai. “Siamo impegnate a stare in rete con altre realtà, la crisi economica sta mettendo tutti in difficoltà, si organizzano modalità di distribuzione di cibo e vestiario. L'accesso ai servizi per le persone che non erano già in carico è molto difficile, quindi tentiamo di favorire il primo contatto”, riferisce Elena Migliavacca. “Le donne che volontariamente continuano a farsi presenti per partecipare sono ancora molte, anche nuove presenze, anche se i gruppi devono essere ristretti e non possiamo avere i numeri di prima. Ho notato che in molti gruppi si racconta di crisi passate, guerre, conflitti sociali nei propri paesi e come si vivevano”.
Dalla Tunisia, Nacyb Allouchi, presidentessa dell’associazione Dar Rayhana, racconta il suo percorso personale che, anche grazie al cambiamento politico del suo paese a seguito della rivoluzione del 2010-2011, l’ha portata a creare una comunità di donne e femminismo della quotidianità, nel costruire insieme, anche in una regione rurale e considerata marginale come quella di Jendouba, nel nord-ovest del paese. “Il lavoro di alcune associazioni femministe storiche della capitale era spesso di fare ricerche, statistiche, parlare della donna tunisina in generale”, spiega Nacyb. “Noi volevamo lavorare insieme, abbiamo fatto un luogo processo per capire insieme di cosa avevamo bisogno: come una sala per lo sport, un café per sole donne, una radio con le nostre voci, soprattutto in queste regioni dove le donne sono anche contadine e stanno costruendo col tempo una consapevolezza di sé e dei diritti”.
Nel connettere questi contesti specifici, “Allargare il Cerchio”, insieme di testi di “esperienze radicate nei territori, che man mano pazientemente si sono costruite” dice Maria Livia, si legge la storia di luoghi che non sempre si ha il tempo di narrare. “E trovare delle parole per dire che esistono alcuni spazi delle donne che non sono separati dal resto del mondo ma importanti per tutti”.