4 agosto 2014 ore: 12:19
Welfare

I 730 milioni per minori e non autosufficienti che il Sud non riesce a spendere

Ad un anno e mezzo dal termine del programma, destinati solo un decimo delle risorse riservate a Calabria, Campania, Puglia e Sicilia del Piano d'azione Coesione (Pac). Oltre 400 i progetti presentati dai comuni. Il prefetto responsabile spiega i motivi del ritardo
Monete in bilico, euro, fondi

ROMA – Non sono né 6, né 10 i milioni di euro utilizzati ad oggi del Piano d'azione Coesione (Pac) voluto dall’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca e da Annamaria Cancellieri, quando era all’Interno: le stime del mondo del Terzo settore sui fondi destinati alla prima infanzia e alla non autosufficienza nelle regioni dell’obiettivo Convergenza (Calabria, Sicilia, Campania e Puglia) e quelle formulate dalla Fondazione con il Sud sono sbagliate. Al 1 agosto 2014 l’autorità di gestione, guidata dal prefetto Silvana Riccio, ha autorizzato progetti per circa 77 milioni di euro, anche se il dato è destinato a salire la riunione del Comitato operativo per il supporto all'attuazione (Cosa) previsto per il 5 agosto in cui verranno approvati altri progetti. Una cifra sette volte più alta di quella stimata, ma pur sempre un decimo delle risorse disponibili, che ammontano a 730 milioni di euro, da utilizzare entro il 2015. “Non sono stati spesi solo 10 milioni – spiega il prefetto Riccio a Redattore sociale -. Questa è una notizia falsa. I dati li abbiamo solo noi e noi abbiamo autorizzato a spendere circa 77 milioni di euro”.

Le risorse. Un quadro esaustivo dei fondi autorizzati si può trovare online sul sito del ministero dell’Interno. Un file excel raccoglie nel dettaglio i piani aggiornati al 25 luglio, ma altri se ne aggiungeranno prima della pausa estiva. I fondi finora utilizzati fanno parte della prima ripartizione di 250 milioni autorizzata nel giugno del 2013: 120 dei 400 milioni complessivi assegnati ai servizi per l’infanzia, mentre altri 130 su 330 milioni in totale sono assegnati ai servizi di cura per gli anziani. “Ci stiamo preparando a dare il secondo riparto di 480 milioni – aggiunge il prefetto -. Una fase da chiudere entro settembre. Poi bisognerà dare la possibilità di presentare i progetti fino a fine dicembre, mentre serviranno tre mesi per valutarli”.

Il peso specifico dei fondi. Per avere un’idea di come le risorse approvate col solo primo riparto possano incidere nelle quattro regioni basta compararle con la spesa corrente per gli asili nido o con altri fondi. Le risorse del Pac per la prima infanzia del primo riparto (120 milioni) equivalgono all’intera spesa per gli asili nido comunali nelle regioni interessate. Mentre i 130 milioni dati alla non autosufficienza nei Pac sono quasi il doppio delle risorse del Fondo per la non autosufficienza, sempre per le stesse quattro regioni in questione. Dei 70 milioni, però, è difficile stabilire con certezza quanti ne siano stati spesi realmente, considerando anche che dei fondi accordati per ogni piano in realtà in molti casi sono stati liquidati solo gli anticipi secondo le procedure stabilite. “I comuni ancora non hanno iniziato a rendicontare – spiega Riccio -. Bisognerebbe chiedere a loro. Il primo dato sul monitoraggio lo avremo il 30 settembre”.

I ritardi. Secondo quanto previsto da Barca e Cancellieri, il Pac ha durata triennale: dal 2013 al 2015. Si tratta di risorse che provengono da una riprogrammazione di fondi strutturali inutilizzati, per questo non più considerabili tali. “Sono risorse ordinarie – spiega il prefetto –, si dovrebbero incanalare nei percorsi ordinari ed essere un motore di altre risorse”. A differenza dei fondi strutturali, infatti, a quelli del Pac non è prevista alcuna compartecipazione, mentre i fondi strutturali la richiedono. “I comuni non devono mettere nulla – spiega Riccio -, tranne presentare un progetto e rispettare le regole di rendicontazione”. Ad oggi la partecipazione dei comuni è stata soddisfacente: sono 400 i progetti raccolti dal Pac. “Due per ogni ambito – specifica il prefetto – C’è stata un’adesione totale, al cento per cento”.

Il meccanismo inceppato. Eppure, sebbene siano stati organizzati incontri sui territori per facilitare la compilazione dei progetti, secondo l’autorità di gestione l’imbuto che ha rallentato il piano è proprio nei comuni. “Noi non siamo responsabili del ritardo – spiega Riccio -. Sono loro che hanno fatto talmente male questi progetti che abbiamo concesso loro una seconda chance. Abbiamo deciso di non bocciare i piani, che sarebbero da rigettare, per consentire di utilizzare questi soldi. Tentiamo di recuperare i piani facendoglieli rimodulare, ma tutto dipende anche dagli uffici comunali”. A minare il percorso del Pac le differenze territoriali, sia a livello normativo che di approccio. “Abbiamo ricevuto progetti scritti male, contraddittori, con spese non ammissibili. Qualcuno ci ha chiesto di finanziare persino un albero dentro un giardino”. Un caso limite, spiega il prefetto, che fa capire come ci siano territori più abituati a programmare questi interventi e altri meno.

“Non è un programma semplice”. Lo si capisce quando al posto di un Sud bisognoso di risorse, ne troviamo uno che non riesce a spenderle, nemmeno a sprecarle. I soldi sono ancora quasi tutti in cassa, ma in questo caso è per una volontà delle istituzioni di non buttarli al vento. La struttura del programma, infatti, è ambiziosa. “Mira ad attenuare le differenze che ci sono su nidi ed anziani rispetto alle altre regioni d’Italia – spiega Riccio -. Non è competitivo. Non mettiamo a bando dei soldi, facciamo dei riparti sulla base delle esigenze potenziali. Non diamo fondi a chi presenta il progetto migliore, li diamo a tutti”. E finora, i comuni sembrano più abili a lavorare sulla non autosufficienza, che sull’infanzia. “Magari sugli anziani sono più abituati ad una visione di ambito e di distretto – spiega Riccio -, sull’infanzia è la prima volta che gli chiediamo di ragionare in termini di piano di zona”. 

È sociale, ma la gestione è all’Interno. A rendere ancora più complessa la storia del Pac è l’inimmaginabile gestione affidata al Viminale, piuttosto che al ministero del Welfare. Una decisione presa agli inizi, ma che come è facile pensare, ha determinato un primo step necessario: il reperimento delle professionalità. Sono circa 30 le unità di personale previste nella struttura di missione. “La gestione è stata data tutta all’Interno – spiega il prefetto -. Dall’inizio il ministero si è trovato a gestire uno strumento nuovo, con professionalità che ha dovuto acquisire. Si pensò che l’Interno dovesse dare una mano sul sociale con la rete delle prefetture”. E sono state proprio loro, quelle che hanno permesso di raccogliere progetti in tutti gli ambiti. “Sono state fatte attività notevoli per far presentare dei progetti – spiega il prefetto -. La grande intuizione è stata quella di usare la rete territoriale delle prefetture. Non avremmo mai avuto 400 piani presentati se non ci fosse stato il loro stimolo”.

Perché non dare i soldi al terzo settore? “Questo programma non è nato per dare i soldi al terzo settore”, risponde il prefetto a quanti chiedono di aprire il rubinetto delle risorse anche al mondo dell’associazionismo e delle cooperative. “Il programma ha come beneficiari degli enti pubblici, i comuni – spiega -. Non è un programma che può dare fondi all’associazionismo privato. Ci vuole un input di natura politica”. Ad ostacolare l’ipotesi di aprire al terzo settore, anche i vincoli stabiliti dal patto di stabilità. “Il problema è che la regione i soldi per il terzo settore ce li ha ma li ha fermi per problemi col patto di stabilità – spiega Riccio –. Questo, invece, è un programma che non ha il problema di equilibrio di patto di stabilità.  Non c’è il passaggio per la regione, che crea l’imbuto come per i fondi strutturali. Noi, invece, li diamo direttamente ai comuni”.

Dopo il 2015. Che si tratti di fondi ordinari e non strutturali, almeno allontana il rischio che possano tornare nelle disponibilità dell’Unione europea, ma la deadline del Pac è fissata comunque per la fine del 2015 e di questo passo è difficile immaginare una volata prima del traguardo. Tuttavia, secondo Riccio, il governo è al lavoro per un “eventuale slittamento”, anche se limitato. “Non dipende solo da noi – spiega il prefetto -. Il programma ha realizzato alcune cose. C’è una legge regionale in Calabria, che prima dei Pac non esisteva. La Sicilia ha dato delle regole sull’accreditamento. La Campania ha fatto recentemente un’altra legge sempre sull’accreditamento. Ha smosso anche una regolamentazione che non esisteva in alcune di queste regioni”. Alla politica, però, va sempre la prima e l’ultima parola e nulla esclude che dal governo possa arrivare una decisione che possa dirottare queste risorse altrove. (Giovanni Augello)

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