Minori stranieri non accompagnati raddoppiati dal 2013 ad oggi. Le loro storie
Vengono identificati con una sigla composta da quattro lettere, hanno tutti meno di 18 anni, ma ognuno di loro ha una storia che da sola riempirebbe un intero libro. Sono i minori stranieri non accompagnati (Msna). Un “fenomeno” che negli ultimi anni ha visto crescere i suoi numeri e flussi verso l’Europa con un ritmo preoccupante a cui Luca Attanasio, giornalista e collaboratore per diverse testate come Repubblica, Famiglia Cristiana e Limes, dedica uno dei pochi libri in Italia che si occupa esclusivamente delle loro storie, raccogliendo numeri e andando a fondo in un contesto complesso e variegato. Titolo e copertina del libro sono un flash sul viaggio dei minori stranieri non accompagnati: “Il bagaglio”, edito da Albeggi edizioni, e sullo sfondo in copertina l’immagine stilizzata di una delle foto simbolo di questo fenomeno, un bambino rinchiuso in un bagaglio, fotografato ai raggi x ai controlli di frontiera, mentre tenta di raggiungere l’Europa.
E’ l’azione civile uno dei meriti di questo libro, cioè quello di dare rilevanza a un aspetto delle migrazioni che non può essere confuso con l’imponente flusso dei migranti degli ultimi anni. Il testo, infatti, non è un rapporto o un dossier sul tema dei minori migranti, quanto un racconto ragionato che attraverso le storie di alcuni minori non accompagnati porta a riflettere sui dati dei flussi e dell’accoglienza sul territorio italiano. Un fenomeno, quello dei minori stranieri non accompagnati, che fino al 2010 non aveva raggiunto le dimensioni dell’emergenza, nonostante i numeri in costante ascesa. Negli ultimi cinque anni, però, le cose sono cambiate e dal 2013, racconta Attanasio, “si è registrato un incremento del 100 per cento di minori stranieri non accompagnati in Italia – nella maggioranza dei casi approdati via mare sulle nostre cose meridionali – che sono arrivati a toccare nel corso del 2014 le circa 15 mila presenze”. L’impennata arriva nel 2014, aggiunge l’autore del libro, “imputabile in gran parte agli effetti dell’operazione Mare Nostrum - spiega Attanasio - che, garantendo il soccorso in mare aperto a imbarcazioni in pericolo, da una parte avrebbe avuto come esito – secondo alcuni – quello di far incrementare i viaggi in ogni condizione (incoraggiando la traversata anche nel periodo invernale), dall’altra ha aumentato il numero di migranti approdati vivi sulle nostre coste (nonostante ciò, i morti in mare nel 2014 hanno raggiunto la cifra record di 3.419)”.
Una delle storie raccontate è quella di Mohammed Keita, un tredicenne costretto ad assistere alla morte dei propri genitori in Costa d’Avorio, vittime della guerra civile, che decide di lasciare casa per raggiungere l’Italia. Un viaggio durato tre anni e mezzo. Ma non è soltanto l’Africa l’unica terra di partenza. Fino a qualche anno fa, racconta Attanasio, “la metà dei minori proveniva da tre paesi, Bangladesh, Egitto e Afghanistan, e il resto arrivava da Albania, Tunisia, Costa d’Avorio, Mali, Marocco, Somalia e Senegal. Di recente si sono moltiplicati i giovani in fuga da Gambia, Nigeria, Eritrea e Siria”. Keita, inoltre, non è uno dei pochi ad essersi messo in viaggio all’età di 13 anni. Sebbene quasi otto minorenni su dieci abbiano tra i 16 e 17 anni, sono in crescita quelli che hanno tra i sette e i 15 anni. I paesi di provenienza, poi, spiegano anche l’impennata delle richieste d’asilo tra i minorenni dal 2013 in poi e i dati del “2015 registrano addirittura un aumento del 75 per cento rispetto all’anno precedente”.
Le storie dei ragazzi, inoltre, fanno trapelare fenomeni nuovi o soltanto sconosciuti in Europa. Sulle rotte dei migranti, infatti, non si affrontano solo le difficoltà legate al viaggio, alle traversate nel deserto o del Mediterraneo. Non ci sono soltanto violenze o trafficanti. Alcuni di loro vengono rapiti lungo il viaggio. E’ il caso dei “Kidnapped Minors”, un fenomeno diffuso soprattutto nel Corno d’Africa, dove i minori vengono rapiti, portati nella penisola del Sinai e liberati soltanto dopo il pagamento di un riscatto da parte dei familiari. Per chi ce la fa, però, molto spesso non è ancora finita. Sulla testa di molti ragazzi giunti in Europa pesa un “debito” contratto dalla famiglia per pagare il viaggio al proprio figlio. Un debito cospicuo che di fatto priva i ragazzi della libertà sin dal primo momento in cui mettono piede sul territorio europeo. “Dalle interviste fatte e dalle testimonianze raccolte - racconta Attanasio - risulta che i costi per il viaggio variano da un minimo di 4-5 mila dollari fino a oltre i 10 mila dollari. Somme esorbitanti per chiunque. Impossibili per migranti provenienti da Paesi tra i più poveri o turbolenti al mondo, dove per radunare cifre simili non basterebbe un’intera vita di lavoro. I ragazzi che partono, quindi, sanno che dal momento in cui metteranno piede in Europa, dopo essersi assicurati la salvezza e un posto per vivere (o anche prima), dovranno lavorare per ripagare il debito contratto dalle famiglie. Se non riusciranno a farlo, le famiglie andranno incontro a difficoltà pressoché insostenibili e i giovani saranno oppressi dal senso di colpa per quello che considerano un loro fallimento”.
In questo contesto, il ruolo dell’accoglienza diventa cruciale e nonostante lo tsunami “Mafia capitale”, può contare su esperienze positive anche sul territorio italiano. Come quella del comune di Torino, raccontata nel libro. “L’esempio del Comune di Torino rappresenta una delle esperienze più interessanti e felici sul piano dell’accoglienza e dell’integrazione dei Msna - racconta Attanasio -. Le cifre di minori trattati e accolti (250 in media all’anno fino al 2014, e già 198 nel primo semestre del 2015) non sono certo equiparabili a quelle, ad esempio, di Roma (che nel 2014 ne ha presi in carico 2.142) o a quelle di altre metropoli”. Tuttavia sono i risultati quelli che contano e i numeri parlano di “pochissimi minori accolti fuoriusciti da percorsi di formazione obbligatori, numeri minimi degli stessi coinvolti in microcriminalità, riduzione quasi totale delle recidive e buoni dati riguardanti gli inserimenti lavorativi e alloggiativi”. Ma l’appello che l’autore affida alle conclusioni del libro non sono solo quelle di una migliore accoglienza. Attanasio parla di “occasione storica” per l’Europa: non l’accoglienza, “che è un semplice obbligo, ma di dare un posto, chiedere un contributo, facendo così fiorire risorse inattese e insperate in modo che la nostra società diventi migliore”.