Un neo sulla pupilla e un senso di oppressione
Un piccolo difetto, apparentemente insignificante, segna l’infanzia di Guadalupe Nettel, scrittrice messicana che per la seconda volta torna in libreria, dopo il successo di “La figlia unica”. E lo fa, questa volta, con un romanzo autobiografico, in cui racconta la fatica e la sofferenza di vivere nel corpo in cui si è nati, quando questo corpo sia, appunto, poco o tanto diverso dagli altri. Nel suo caso, è il cerotto applicato sull’occhio, ogni giorno, per proteggere l’iride dalla luce. Perché proprio sull’iride si trova quel piccolo neo bianco, tanto pericoloso per la pupilla da rendere necessaria, appunto, l’applicazione di quel cerotto che «provocava in me una sensazione di oppressione e d’ingiustizia». E proprio di questa sensazione, data dalla propria diversità ma anche dalle stravaganze della sua famiglia, racconta Guadalupe nel suo romanzo “Il corpo in cui sono nata” edito da La Nuova Frontiera, in cui leggerezza e umorismo stemperano il dramma e la scrittura diventa strumento di elaborazione e riabilitazione e, finalmente, di accettazione di sé.
(Recensione tratta dal numero di luglio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)