Uomini violenti: nei centri numeri bassi e utenti poco consapevoli
boxEMILIA ROMAGNA - Violenza e maltrattamento sulle donne: è il caso di intervenire sugli uomini. In Italia sono 15 centri per uomini maltrattanti, suddivisi nel territorio di tutta la penisola, a esclusione del Meridione (l’ultimo sulla cartina geografica dello Stivale è, infatti, a Roma). In Emilia-Romagna negli ultimi 2 anni ne sono nati 4 a Modena, Ferrara, Rimini e Forlì. L’obiettivo dei centri è dunque quello di eliminare la violenza maschile sulle donne, e, stando alle testimonianze di Francesco e Giovanni, tutto può cambiare. “Mi arrabbio ancora – tutti si arrabbiano – ma non me la prendo più con mia moglie”, dice il primo, mentre l’altro, che non è comunque riuscito a salvare il suo matrimonio sa che adesso “i miei figli non hanno più paura di me e mia moglie si fida a lasciarmeli”. I numeri dei centri però non sono proprio confortanti, soprattutto se messi a confronto con il numero di donne che ogni anno accede ai centri antiviolenza (oltre 2.400 nei primi 10 mesi del 2013 in regione), gli uomini in trattamento sono pochi (circa 83) e, a detta di tutti, bisogna intervenire sulla cultura degli uomini e lavorare affinché acquisiscano la consapevolezza che la violenza è un problema. Sono questi, infatti, i fattori che accomunano tutti centri della regione.
Sono 60 gli uomini seguiti finora a Modena dal centro “Liberiamoci dalla violenza”, primo in Italia a ricevere dei contributi pubblici. Il centro è nato nel 2011 in collaborazione con la Usl e ha ospitato tutti uomini che si sono autocandidati. Tra il dicembre 2011 e l’ottobre 2013 il centro è stato contattato da 254 persone, di cui 86 uomini per informazioni e 40 donne per inviare il marito. “Seguiamo un modello norvegese (il personale tutto al maschile, è stato formato all’Alternative To Violence di Oslo, ndr) – spiega Monica Dotti, responsabile di Ldv – che prevede step ben precisi da seguire, partendo dal presupposto che sia l’uomo in prima persona a chiedere aiuto in modo autonomo”. Il percorso prevede incontri di gruppo o singoli (o entrambi) e, una volta concluso, due follow up, cioè controlli periodici programmati, per verificare se si presentano ancora comportamenti violenti. In 13 hanno concluso il trattamento. “A oggi nessuno ha terminato il percorso con i due riscontri, ma, stando ai numeri norvegesi, solo il 15 per cento degli uomini seguiti è recidivo”. Quest’anno il centro, che ha all’attivo 3 psicoterapeuti, segue 25 uomini (di cui 3 stranieri), di età compresa tra i 27 e i 65 anni e ne ha già 5 in lista d’attesa. I dati però, nonostante siano i più alti di tutti, non sembrano essere convincenti. “Il numero di uomini che ci chiede aiuto è rimasto costante negli anni, non abbiamo mai registrato un incremento o particolari picchi, ma, sicuramente, sono sempre troppo pochi rispetto a coloro che commettono violenza”, conclude Dotti.
Differente invece, la situazione al centro d’ascolto Uomini maltrattanti di Ferrara dove, a essere accolti, sono stati in 10 (poco più di 20 i contatti in totale). “Numeri di cui non siamo soddisfatti – spiega lo psicoterapeuta Nicola Corazzari – Dieci è un numero importante se si pensa che lavoriamo su qualcosa che, di fatto, ancora non è riconosciuto, ma sono troppo pochi rispetto a quelli che effettivamente fanno violenza”. Il centro, che nasce a marzo 2013 come costola di quello di Firenze (primo in tutta Italia), si avvale dell’aiuto di un’equipe di 8 persone che lavora giornalmente offrendo sostegno psicologico sia individuale che di gruppo agli uomini che chiedono aiuto. “Purtroppo l’autoinvio è una condizione molto rara perché spesso, l’uomo, non si rende conto di commettere violenza e non crede che ciò possa creare traumi su moglie e figli”, continua Corazzari. Non a caso nel volantino del centro c’è un piccolo test con domande tanto banali quanto importanti ma, se si risponde “sì” almeno a una di esse, potrebbe essere utile contattare il centro. Proprio per questa mancanza di coscienza sui maltrattamenti, la maggior parte degli uomini è spinto dalle compagne a far parte di questo gruppo, che quindi, per prima cosa, affronta un percorso volto al riconoscimento delle violenze, non tralasciando l’aspetto socio-culturale.
E di cultura parla anche Maria Maffia Russo, responsabile del centro di Rimini “Liberi dalla Violenza”, che con quello modenese ha alcune similitudini a partire, appunto, dal nome. “Siamo ancora all’inizio di un percorso che prevede tempi lunghi anche per un problema culturale – spiega Maffia Russo – È impossibile parlare di un rapporto tra donne che subiscono violenza, circa 300 casi l’anno in città, e uomini che ci contattano”. Infatti loro, in un anno, hanno seguito solo 3 uomini (uno con candidatura spontanea, uno perché inviato dalla compagna e, l’ultimo, inviato da un centro antiviolenza). Dei 3, tra l’altro, solo uno è eleggibile alla terapia di gruppo. “Siamo nati un anno fa e, a differenza di Modena, non abbiamo uno sportello d’ascolto ma lavoriamo solo con setting di gruppo”, spiega ancora la responsabile. “Aspettiamo di avere un numero di 8 uomini che abbiamo la consapevolezza che commettere violenza è un problema personale – continua – non possiamo inserire chi, nonostante diversi colloqui iniziali, non riconosce il problema e attribuisce ogni colpa alla compagna”. Qui a occuparsi degli uomini, sono in 3, un assistente sociale e 2 psicologi, un maschio e una femmina. “La scelta è ovviamente terapeutica – conclude Maffia Russo – dobbiamo dare agli uomini la possibilità di confrontarsi con un altro uomo, senza tralasciare la figura femminile”. Il centro, anche qui, fa parte dei servizi dell’Usl della costa romagnola ma, purtroppo, i numeri di accesso sono molto bassi.
Chi invece un contatto con i servizi pubblici lo cerca faticosamente è il Centro Trattamento Maltrattanti di Forlì. “In un anno abbiamo seguito poco più di 10 uomini e molti di loro hanno interrotto il percorso”. A parlare è il responsabile, Daniele Vasari, che, racconta, “spesso ci chiamano per un aiuto immediato, chiedono cure farmacologiche ma di fatto non sono disposti ad affrontare un percorso completo”. Sono solo 2, infatti, gli uomini seguiti da tempo: uno da 4 mesi e l’altro da 7. E continua: “Chiamano nella foga del momento così come commettono violenza. Il nostro centro si ispira al modello di Oslo ma al momento seguiamo solo 3 uomini, un numero insufficiente per formare un gruppo e ci limitiamo ai colloqui singoli”. Lo staff, tutto al maschile, è una pura casualità tant’è che lo stesso Vasari spiega che “ci vorrebbero più donne all’interno della struttura proprio per evitare che negli uomini si rafforzi l’idea che si possono fidare solo del loro sesso e non abbiano un confronto con una donna”. (irene leonardi)