Violenza sulle donne, i progetti che aiutano mamme e bambini
Violenza donne. Telefono rosa
ROMA – Prima i maltrattamenti e le violenze, poi le lunghe cause legali, la separazione, l’affidamento dei figli. Per una donna che subisce violenza o maltrattamenti dal proprio compagno, il problema non si esaurisce con la fine della relazione o la condanna del suo carnefice. Ma i tempi per tornare a una vita “normale” possono essere anche molto lunghi. Molte vittime dopo anni di vessazioni sono costrette a lasciare il lavoro, altre si ritrovano senza una casa dove stare, altre ancora non vogliono più vivere nel luogo che le ha viste subire violenza per troppo tempo. A loro sono dedicati i progetti di semiautonomia, che alcune delle principali associazioni che si occupano di violenza sulle donne, stanno portando avanti da Nord. L’ultimo, in ordine di tempo a Roma, è la casa “Franca Viola”, un appartamento nel V municipio, che può ospitare al massimo tre donne vittime di violenza, con i rispettivi figli. Oltre al vitto e l’alloggio, viene fornito alle vittime anche supporto psicologico e assistenza, affidati all’associazione Solidea.
“Ci occupiamo di donne vittime di violenza dal 1989, attraverso i nostri centri antiviolenza dove lavora un’ équipe di operatrici che formiamo ogni anno –spiega Luigia Barone, vicepresidente dell’associazione e coordinatrice del progetto -. L 'esperienza dei centri antiviolenza col tempo ci ha fatto toccare con mano la situazione drammatica di molte donne, che dopo essere uscite da una situazione di violenza impiegano tantissimo tempo per reinserirsi sia a livello sociale che lavorativo”. Le situazioni sono diverse, ma per ognuna delle donne seguite è quasi impossibile tornare a vivere serenamente contando solo sulle proprie forze. “Nei nostri centri le donne stanno in media cinque mesi, ma i tempi si possono allungare se la situazione è complessa –continua Barone -. In genere le vittime di violenza sono costrette ad affrontare cause lunghissime, e i cui tempi si allungano ulteriormente se c’è di mezzo anche una causa di separazione e affidamento dei minori. Inoltre quando si arriva a denunciare, di solito si sono trascorsi mesi difficili, in cui per le vessazioni e le minacce molte hanno avuto problemi sul lavoro fino a perdere il posto”.
Ricominciare è quindi è un percorso molto lungo e faticoso. Se si riesce a trovare lavoro, c’è poi comunque il problema della casa, e della gestione dei figli, anche loro vittime indirette delle violenze subite dalle madri. “Nei centri-antiviolenza si fa un primo lavoro di sostegno sull’elaborazione del trauma sulle donne, ma anche sui minori – spiega ancora Barone -. Quando poi l’emergenza è finita, si passa alla seconda fase per aiutare l’autonomia delle donne. In questo caso con i bambini si portano avanti laboratori specifici. Nella migliore delle ipotesi i figli, se non sono vittime di violenza anche loro, hanno assistito alle botte sulla madre. Molti presentano una sindrome post traumatica da stress, alcuni diventano iperattivi, altri presentano problemi col cibo, perché nella maggior parte dei casi è a tavola, nel momento dei pasti, che si consumano le violenze domestiche, gli insulti ”. Proprio sulla necessità di continuare a sostenere mamme e bambini, anche dopo l’emergenza, è nato il progetto sperimentale della casa “Franca Viola” proposto dall’associazione Solidea al V municipio, che ha deciso di finanziare l’iniziativa. Per ora ad entrare nella casa (un appartamento con cucina e salone in condivisione) è stata una donna con la figlioletta di pochi anni, iscritta alla scuola materna nel quartiere stesso. “L’idea è sostenere la donna e la mamma al tempo stesso. Le donne, infatti, possono rimanere per l’intero anno scolastico in modo che i bambini non siano costretti a interrompere la scuola –conclude Barone – La casa è bella, piccola ma accogliente, immersa nel verde e nel complesso cittadino. Così è facile muoversi. Alle donne si fornisce alloggio e una base di viveri, perché possano tener da parte i soldi per un futuro affitto. L’obiettivo è, infatti, dare un aiuto concreto per rendere queste persone finalmente autonome e in grado di ripartire”. (ec)