"Io, medico volontario sulle navi della Marina che soccorrono i migranti"
ROMA – “Partendo per le missioni con la Marina Militare come medico volontario della Fondazione umanitaria Rava, decisi di appuntare su un quadernetto giorno dopo giorno tutto quello che succedeva, le sensazioni, le situazioni, le condizioni in cui lavoravamo perché non volevo che i ricordi di quei giorni tragici si affievolissero col tempo. Ho omesso solo alcune note su situazioni terribili e atroci, perché non sono ancora pronto a raccontarle”.
Si apre così, come una finestra spalancata sul complesso mondo dei soccorsi in mare, il diario riportato sul web di Claudio Puoti, classe 1954, già primario di Medicina interna,attuale responsabile del centro di Epatologia all’Istituto Ini di Grottaferrata e consulente di Epatologia dell’ospedale Regina Elena di Roma: tra i medici volontari che prestano il primo soccorso ai migranti sulle navi della Marina. A distanza di quattro anni dagli eventi, Puoti - che negli anni successivi ha partecipato ad altre tre missioni (l'ultima nell'agosto 2017) - racconta le impressioni e le sensazioni vissute a bordo di Nave San Giusto. Ecco una sintesi del racconto di quella ella sua prima missione.
"Agosto 2014. In volo da Roma a Catania, devo imbarcarmi dalla base navale di Augusta. Mi hanno chiesto di anticipare la partenza di tre giorni. Meglio così, non ho avuto tempo per pensare.
13 agosto, partiti. Qui sono tutti cordialissimi e affettuosi, fanno di tutto per mettermi a mio agio. Il team sanitario è coordinato da una ragazza sotto tenente di vascello molto giovane ma energica, capace e molto preparata.L’alloggio è un buco, non si può stare in piedi in due contemporaneamente. Lo condivido con un Ufficiale solido, poche parole, simpaticamente duro. La prima cosa che mi chiede è cosa ci faccio a bordo. Quando gli dico che sono venuto volontariamente, gratis, con le mie ferie, mi guarda come se fossi un po’ sciroccato.Magari ha ragione lui. I bagni sono in comune, vado a vederli. Sono un po’ sconfortato. Mi prende la paura. La nave è immensa, ma qui dentro è tutto piccolo, da claustrofobia. Devo stare attento soprattutto a due cose: non farmi prendere dall’ansia e non cadere dalla brandina che è abbastanza in alto.
14 agosto. Risveglio davanti a Lampedusa. Giornata splendida. Gli uomini e le donne della Marina lavorano con passione ed entusiasmo, andando molto oltre il semplice dovere.Alle 20 l’altoparlante comunica che dovremo imbarcare oltre 200 persone da nave Chimera. Comincia il lavoro. Mi consigliano di dormire un po’.
Notte tra il 14 e il 15 agosto. Comunicano attivazione ruolo CFM per operazione SAR. Qui parlano tutti per sigle, SAR significa Search and Rescue, e CFM Controllo Flussi Migratori. Mi preparo e scendo con gli altri nel ponte garage. Mettiamo le tute, le maschere, i calzari, fa caldissimo. Alle 00.30 un grande motoscafo da sbarco e il gommone (che qui chiamano Mazinga) escono dal bacino per accostare a Chimera. Rientrano con decine di persone, prevalentemente siriani, ma anche palestinesi, eritrei, giordani, etiopici, sudanesi. Alcuni sono stremati, non si reggono in piedi. Facciamo il triage e ne trasportiamo molti in barella o carrozzella nell’area sanitaria.Sono impressionato, tutti mi ringraziano, molti mi stringono la mano, altri mi abbracciano. Ci sono anche 24 bambini, spaziano da 15 giorni ai 13 anni. Non devo emozionarmi o non si combina più niente.
15 agosto. Abbiamo finito verso le 3.30, sono 220 migranti, ho dormito pochissimo perché alla 7.00 ci hanno svegliato per recuperare una settantina di persone da un mercantile di Cipro. Sono tutti africani, condizioni tragiche rispetto a quelli di stanotte. Ma come fanno ad affrontare il mare in queste condizioni? Lavoriamo ancora di più, ci sono moltissimi con ustioni gravi, disidratazione estrema, traumi, vomito. Donne violentate a ripetizione, uomini frustati col filo spinato. Mai viste cose simili. Mi viene da piangere.
Ore 10.00. Non è ancora finita. 100 persone da recuperare da un barcone semi rovesciato, un bimbo trascinato via dalle onde, sembra ci siano molti dispersi. Mi sta venendo una specie di anestesia psicologica, non bisogna commuoversi o si rischia di cedere emotivamente. Sono tutti africani, bagnati zuppi, stremati, disidratati. Ma ti guardano con occhi che sciolgono il cuore. Non sento stanchezza, fame, sonno, ogni minuto passato a riposare è un minuto in meno per loro.A bordo anche un bimbo con la leucemia. Gli scafisti hanno gettato a mare la borsetta della mamma con le medicine. Li maledico. Decidiamo di evacuarlo in elicottero, insieme a una donna con grave cefalea (forse un problema cerebrale?). Non siamo in ospedale dove hai la Tac, la risonanza, la rianimazione. Qui devo fare tutto con il solo senso clinico e l’esperienza.
Ore 16.30: una nostra nave ci trasferisce altre 100 persone. Mi chiedo come facciano a resistere i ragazzi del San Marco, sono dei veri eroi, non si stancano mai. Fanno quasi tenerezza: giganti buoni che prendono in braccio i bambini con una delicatezza straordinaria che contrasta con il loro fisico imponente. Verso mezzanotte finito l’ennesimo trasferimento. Pianti, abbracci, thankyouthankyou a ripetizione, grazie Italia. Qualcuno cerca di baciarmi la mano.Mi piace quello che sto facendo. Però qui sotto fa caldissimo, è molto umido, la tuta è pesante, la plastica si attacca alla pelle, la mascherina a bulbo mi soffoca. Ho deciso che sotto la tuta metterò solo il costume da bagno.Ho fame, sonno e devo fare pipì ma con questa specie di seconda pelle addosso diventa tutto un problema.
17 agosto, prima domenica a bordo. Abbiamo imbarcato altre 270 persone, siamo a quota 690 (478 uomini, 72 donne, 117 minori accompagnati e 23 non accompagnati). Che sarà di questi bambini? Il trasferimento è stato difficile per il mare mosso ma i piloti sono eccezionali. Nel pomeriggio si sono intasati i bagni chimici.Camminiamo in una melma fatta di feci, vomito, urine.
18-22 agosto. Da giorni non ho notizie da casa, qui non c’è linea. Ho dormito 10 ore di fila. Abbiamo cominciato il viaggio di ritorno verso Salerno. In questi giorni non ci siamo quasi mai mossi dalla stiva, senza mangiare e dormendo pochissimo. Nuova direzione: Augusta. Poi ripartenza. Mare abbastanza mosso, ho un pizzico di nausea, ma sto molto meglio dei migranti che stanno decisamente male. Un bimbo che tengo in braccio mi vomita sulla tuta, che tenevo aperta sul petto per il gran caldo.
23 agosto. Breve sosta a Lampedusa. Alle 12.00 un’altra nostra nave ci passa 266 persone (199 uomini, 48 donne e 19 piccoli). Ci sono bambini piccolissimi, abbiamo fatto una culletta con una cassetta di frutta riempita di ovatta. I bambini ci abbracciano, ci salutano, chiedono biscotti, giocano, fanno un casino bestiale, ma mettono allegria.
24 agosto, seconda domenica a bordo, ormai faccio parte del paesaggio. Mi sento in forma nonostante il sonno.Oltre ai 266 di ieri, abbiamo raccolto più di800 persone, lavorando ininterrottamente dalle 18 di ieri alle 3.30 di stanotte. La tristezza si aggiunge alla stanchezza: è morto un bimbo e non ho il coraggio di vederlo. Non voglio neppure scriverne, non voglio ricordarmene.
Torniamo indietro con 1376 persone a bordo.Ho fame. Organizzo la mensa: per primo, omogeneizzati di bimbo, per secondo, dolce e frutta Plasmon. Questo giro è strano, molti casi di scabbia e una ventina di donne incinte. Ce n’è una che ormai è arrivata. Non ricordo neanche se ho fatto a suo tempo l’esame di ginecologia. Speriamo che resista.
25 agosto, siamo a Crotone, inizia lo sbarco. In stiva c’è un odore spaventoso. Portiamo a terra una piccola bara bianca che in realtà è un sudario avvolto da teli bianchi. Ci schieriamo ai lati, come una guardia d’onore, per questo piccolo bimbo venuto a morire in Italia.Non oso guardare i genitori ma sento un groppo sciogliersi in gola.
26 agosto: arrivati ad Augusta in mattinata. Domani partenza. Inizio a preparare lo zaino, mi dispiace andare via. Mi stanno facendo un sacco di regali, come fratelli. Si piange quando si arriva, si piange quando si parte.
27 agosto, fine della missione. Molti sono a terra a salutarmi, i navali, la San Marco, il comandante, i colleghi, gli elicotteristi, gli agenti di polizia. Molti altri salutano e mandano baci dal ponte di volo. Sono passate due settimane, sembrano anni. Mi riprometto di raccontare tutto, una volta a casa. Sarà il mio piccolo omaggio alla Marina Militare, alla Fondazione Rava, agli amici e soprattutto a tutti quelli che riposano per sempre in fondo al cimitero d’acqua del Mediterraneo”.
Claudio Puoti è il professore che il 10 agosto scorso finì su tutte le agenzie di stampa per la lettera a favore dei vaccini inviata alla vice presidente del Senato, Paola Taverna. Ma questa è un’altra storia. (Teresa Valiani)