Basta con "celle" e "piantoni": il carcere cambia, a partire dal linguaggio
ROMA - Niente più “domandine”, “dame di compagnia”, “piantoni” o “scopini”. Il carcere cerca di cambiare volto e lo fa iniziando a cambiare linguaggio. La strada, per riconsegnare dignità all’esecuzione penale è ancora molto lunga, ma direttive, come quella appena emanata dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, raccontano un percorso che è già partito.
E’ datata 30 marzo 2017, la circolare attraverso la quale il vertice del Dap invita “i provveditori regionali, i direttori degli istituti, i direttori generali, la direzione generale e il servizio informatico” a “intraprendere tutte le iniziative necessarie al fine di dismettere nelle strutture penitenziarie, da parte di tutto il personale, l’uso, sia verbale che scritto, della terminologia ‘infantilizzante’ e diminutiva, nonché le interlocuzioni orali, soprattutto quelle dirette al detenuto”. Un argomento su cui si era pronunciato energicamente il Tavolo 2 degli Stati generali sull’esecuzione penale, coordinato dal magistrato di sorveglianza, Marcello Bortolato.
- Ecco la lista delle “terminologie concordate per le quali si deve procedere senza indugio alla modifica”.
Cella diventa camera di pernottamento, dama di compagnia (detenuto che trascorre le ore di socialità con un 41 bis che è ristretto in un’area riservata in attesa di essere trasferito in sezione) diventa compagno di socialità, domandina (il modulo da compilare per inoltrare richieste alla direzione o al comando) diventa modulo di richiesta, scopino (detenuto che lavora nella squadra impegnata nella pulizia dell’istituto) diventa addetto alle pulizie, piantone (detenuto incaricato di assistere un compagno con disabilità) diventa assistente alla persona, spesino (detenuto che raccoglie l’elenco delle spese degli altri ristretti )diventa addetto alla spesa detenuti, portavitto/portapane/portapranzi diventa addetto alla distribuzione dei pasti, cuciniere diventa addetto alla cucina, casario (detenuto che nelle colonie agricole lavora il formaggio) diventa casaro, stagnino diventa idraulico, pascolante diventa pastore, lavorante diventa lavoratore.
“In ogni comunità – spiega Consolo nella circolare – il linguaggio svolge un ruolo fondamentale. Anche le regole penitenziarie europee prevedono che la vita negli istituti deve essere il più possibile simile a quella esterna e questa ‘assimilazione’ deve comprendere anche il lessico. I termini in uso nelle carceri riferiti ai detenuti sono spesso avulsi da quelli comunemente adottati dalla collettività e questo è causa di una progressiva e deprecabile infantilizzazione e di isolamento del detenuto dal mondo esterno che crea ulteriori difficoltà per il possibile reinserimento, oltre ad assumere in alcuni casi una connotazione negativa.
Prassi errate – prosegue il capo del Dap – e terminologie persistenti sono state evidenziate in occasione di alcune visite in carcere svolte dal comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. I lavori degli Stati generali – Tavolo 2, hanno evidenziato l’uso di una scorretta terminologia utilizzata nel gergo corrente negli istituti, proponendo l’eliminazione dei termini ‘infantilizzanti’. Non si può non sottolineare – conclude Consolo - che queste espressioni non sono rispettose delle persone detenute, determinando delle errate considerazioni, oltre ad essere utilizzate con accezione negativa”.
La necessità di una sostituzione dei termini in uso nelle carceri era stata ribadita anche nel corso dell’ultima riunione convocata dal ministro Andrea Orlando per fare il punto sui risultati del “dopo Stati generali”.
“Era una nostra proposta - sottolinea Marcello Bortolato - e prevedeva espressamente che l’amministrazione diramasse un atto formale per evitare l’uso dei termini infantilizzanti nei documenti ufficiali e nelle comunicazioni verbali. Sono soddisfatto, è il primo successo del Tavolo 2. Il linguaggio non è tutto ma questa circolare è un grande passo avanti, una piccola luce che comincia a vedersi perché non c’è nulla di più difficile che sradicare una mentalità, in questo caso il linguaggio carcerario che lo Stato aveva fatto proprio. Perché quelli che oggi andiamo a rimuovere sono termini che i detenuti usano da sempre e che lo Stato aveva fatto propri e la loro sostituzione è un primo segnale di controtendenza. Significativo anche perché, se gli Stati generali avevano come primo scopo quello di un mutamento culturale, direi che siamo difronte a un passaggio importante. Il principio sotteso alla proposta è che la vita in carcere deve assomigliare quanto più possibile alla vita fuori e di conseguenza anche il linguaggio. Nella vita concreta dei detenuti non cambia molto, i numeri e tutti gli altri problemi rimangono invariati, ma resta la conquista culturale”.
“Potrebbe sembrare una innovazione puramente nominalistica – sottolinea Glauco Giostra, coordinatore del comitato scientifico degli Stati generali, commentando la circolare -. In realtà le parole sono indicatori del tipo di relazione che si intende instaurare. Usare termini ‘adulti’ significa restituire dignità alla persona ristretta e chiarire che non si intende più forgiare un ‘buon detenuto’, prono alle prescrizioni delle autorità, ma preparare un futuro buon cittadino”. (Teresa Valiani)