Donne, rivolta dei centri antiviolenza contro la regione Lombardia
Violenza donne. Sulla sedia
MILANO - Rivolta dei centri antiviolenza donna contro la Regione Lombardia. 16 centri sui 25 esistenti, criticano l'assessore Giulio Gallera per la gestione dei fondi e bocciano il Piano antiviolenza, votato all'unanimità dal Consiglio regionale il 10 novembre scorso. "La Conferenza Stato-Regioni ha destinato alla Lombardia 2,7 milioni di euro per il 2015 e il 2016, ma quest'anno non sono ancora stati spesi -spiega Manuela Ulivi, presidente della Casa delle donne maltrattate-. Le spiegazioni che ha dato oggi l'assessore regionale non ci convincono". Secondo Gallera, infatti, il blocco dei fondi nel 2015 è dovuto solo a questioni burocratiche di bilancio (vedi lancio precedente). "Non ha senso quel che dice l'assessore -aggiunge Manuela Ulivi-. E resta il fatto che ora questi fondi vanno utilizzati tutti comunque, non vorremmo che quelli non spesi quest'anno fossero destinati ad altro".
Il Piano regionale antiviolenza rischia di far danni, più che aiutare le donne. "Prevede procedure troppo rigide -spiega la presidente della Casa delle donne maltrattate-. Ogni persona che viene per chiederci aiuto deve invece poter trovare un ambiente che innanzitutto l'accoglie e l'accompagna in base alle sue esigenze. Per esempio, il Piano prevede che i centri antiviolenza comunichino entro 48 ore il nome della donna ai servizi sociali. Ma non ha senso prevedere questo obbligo, perché magari la donna non lo vuole". Secondo i 16 centri che hanno firmato il documento di critica alla Regione Lombardia (aderenti a D.i.re, la rete dei centri non istituzionali), le donne devono essere "libere di scegliere come uscire dalla violenza; libere dalla necessità della denuncia; libere di mantenere l’anonimato e la segretezza sinora garantiti". "È chiaro che la collaborazione tra gli enti è fondamentale -precisa Manuela Ulivi-, ma non possiamo prevedere che ci sia un unico percorso obbligatorio che vada bene per ogni donna". (dp)