21 ottobre 2013 ore: 12:21
Economia

Famiglie, vedovi, padri divorziati: le storie dei nuovi sfrattati torinesi

Franco, Domenico, Nadia e Patrizio: vengono dalle situazioni di vita più disparate e si ritrovano accomunati da un emergenza abitativa che nel capoluogo piemontese inizia ad allargarsi a macchia d’olio, col oltre più 9 mila persone in lista d’attesa per un alloggio d’emergenza
Sfratti a Torino. Manifestazione

TORINO - Franco era un artigiano torinese, con un matrimonio felice e una casa che stava pagando tra piccoli e grandi sacrifici. Poi sua moglie Marta “si è ammalata di un brutto male, che alla fine se l’è portata via”. Così si è ritrovato schiacciato tra la solitudine e la depressione, con i colpi della crisi che, in quelle condizioni, diventavano sempre più difficili da parare. Costretto a chiudere l’attività, non è più riuscito a trovare un altro lavoro e a pagare le rate del mutuo. Mentre la sua abitazione andava all’asta, si è rivolto all’Ufficio per la casa del Comune ed è risultato idoneo a entrare in un alloggio popolare: ma, come spesso accade, l’ufficiale giudiziario è stato più rapido della lista d’attesa, e così Franco si è ritrovato in strada. I suoi oggetti, i suoi mobili e i suoi ricordi restano nella sua vecchia abitazione, dove abitava con Marta. E potrà riprenderseli solo quando sarà effettivamente entrato nel suo nuovo alloggio.

Storie come questa si moltiplicano a macchia di leopardo sul tessuto urbano di Torino; città che - secondo l’ultimo conteggio ministeriale, con 4mila famiglie sfrattate su 900mila abitanti - si è guadagnata lo scomodo titolo di capitale italiana degli sfratti per morosità incolpevole. Vale a dire che oggi, ogni 360 torinesi, c’è n’è uno che ha dovuto lasciare l’alloggio perché - in seguito alla perdita del lavoro, alla chiusura di un attività o a un divorzio particolarmente oneroso - non riusciva più a pagare l’affitto.

È quanto è successo a Nadia e Patrizio, rispettivamente 27 e 37 anni, che, con due figli di 4 e 11, si sono ritrovati fuori dalla loro abitazione in seguito a uno sfratto esecutivo. “Io – spiega Nadia – ho perso il lavoro nel luglio del 2012. Pagare l’affitto, a quel punto, era già difficile, ma per fortuna siamo stati aiutati economicamente dall’assistenza sociale dell’Ufficio Pio e abbiamo continuato a versare la pigione per i mesi successivi”. Nel gennaio scorso, però, anche Patrizio perde il lavoro: in quelle condizioni, continuare pagare è semplicemente impossibile e nel giro di pochi mesi arriva lo sfratto esecutivo. “Secondo il proprietario – continua Nadia – l’affitto non veniva pagato già dal 2012. Questo è assolutamente falso e infatti abbiamo fatto ricorso: abbiamo tutte le ricevute dei versamenti, molte delle quali sono state timbrate e inviate direttamente dell’Ufficio pio”.

Marta e Patrizio fanno quindi domanda per entrare nella quota di alloggi popolari riservata alle famiglie colpite dall’emergenza abitativa. Ma il loro punteggio, dopo i controlli della commissione regionale, viene rivisto al ribasso, com’è accaduto anche a molti altri torinesi. “In graduatoria – continua – ci hanno dato 11,2 punti, mentre la soglia per avere l’alloggio d’emergenza era di 12. Per uno 0,8 ci siamo ritrovati alla deriva”. Per il momento, la famiglia è ospite della nonna di Patrizio, che abita in Santa Rita, in una casa di 40 metri quadri. “Ma non so quanto ancora potremo andare avanti – conclude Nadia – e ho davvero paura di finire in strada. La signora è malata, ha dei seri problemi alle ginocchia e per far posto a noi ha iniziato a dormire su un divano. Non è una situazione sostenibile a lungo”.

L’odissea di Domenico Toto, ex perito meccanico negli stabilimenti Fiat, è iniziata invece dopo la separazione dalla moglie. “Dopo trent’anni di matrimonio – ricorda – ho combinato un casino con degli investimenti in borsa che sono andati male. Così ho perso tutti i nostri risparmi. Mia moglie da principio ha voluto che ci separassimo per evitare che ci andassero di mezzo anche lei o i figli. Ma col tempo la situazione si è incancrenita e sono stato costretto ad andare via di casa”. Inizialmente l’uomo trova alloggio in un residence a basso costo. “Poi – ricorda – è successo che l’Inps mi ha pagato un mese di pensione in ritardo. Io ho spiegato la situazione alla proprietaria e alla fine ho comunque saldato tutto. Ma, per una serie di circostanze, lei ha iniziato a farsi diffidente nei miei confronti. Voleva che me ne andassi”.

Domenico racconta di aver subito per mesi una forma violenta di mobbing, finalizzata a farlo sloggiare dall’edificio e culminata con due denunce incrociate, da parte sua e della proprietaria, che ora sono al vaglio della magistratura. “Finché un bel giorno – continua – rientrando a casa, ho trovato tutte le mie cose ammucchiate in strada. Alla fine mi avevano buttato fuori. Ho dovuto chiamare i carabinieri per recuperare alcuni effetti personali che erano rimasti nella residenza”. Da quel giorno, il signor Toto ha iniziato a vivere nella sua automobile. “Cerco di non lasciarmi andare” spiega. “Quando vado a trovare mia madre, che è ricoverata in ospedale, ne approfitto per lavarmi e farmi la barba. A volte utilizzo anche i bagni di una biblioteca qui vicino. Ma sta iniziando a fare freddo e io sono cardiopatico, ho già subito un intervento di angioplastica. Non so quanto potrò andare avanti così”. Nel frattempo, l’uomo ha fatto domanda per un alloggio d’emergenza da destinare a sé, alla madre e a suo fratello minore, che abbandonerebbe un altro alloggio popolare per trasferirsi con loro. “Sto ancora aspettando di sapere dove passerò l’inverno” conclude. “Quello che però non capisco è perché io, come tanti altri, debba vivere in questo modo quando Torino è piena di alloggi inutilizzati. In corso Salvemini ce ne sono alcuni anche abbastanza grandi, che potrebbero tranquillamente essere destinate alle famiglie che passano per queste situazioni” (ams) 

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