Gli over 50 insegnano il mestiere ai giovani: così si combatte la disoccupazione
- TORINO - I numeri, purtroppo, parlano chiaro. C’è innanzitutto la disoccupazione giovanile, che - pur calata di un paio di punti negli ultimi due anni - si attesta comunque su un vertiginoso 38 per cento. E ancora, l’invecchiamento della forza lavoro, con un indice di vecchiaia che nel Belpaese è arrivato a toccare il 151 per cento, secondo solo a quello tedesco. Unendo i due dati, viene fuori un’ulteriore, preoccupante tendenza: ossia la dispersione di quelle competenze lavorative che - all’interno delle aziende - dovrebbero essere tramandate da una generazione all’altra. Un processo, questo, che da sempre avviene in maniera fluida, spontanea. E che ora rischia di incepparsi definitivamente; perché, mentre i giovani entrano sempre più tardi nel mercato del lavoro, la generazione dei loro padri sembra non trovare più la strada per uscirne.
Un tentativo di rimettere in moto le cose, comunque, arriva dal Piemonte; dove il Centro salesiano per la formazione professionale (Ciofs-Ps) ha avviato un progetto che si sta occupando proprio di agevolare il dialogo intergenerazionale nei luoghi di lavoro. Si chiama “OpEn” (contrazione di “Opportunità tra gEnerazioni”), ed è una piattaforma di apprendimento messa a punto in due anni di sperimentazione: a immaginarla è stata suor Silvana Rasello, presidente regionale Ciofs-Ps, che per questo progetto afferma di essersi ispirata al principio dell’invecchiamento “attivo”; termine con cui, fin dal 2002, l’Oms e il Parlamento europeo stanno spronando gli stati Ue a mobilitare costruttivamente il potenziale degli ultracinquantenni, in un continente dove questi ultimi rappresentano ormai la fetta più consistente della popolazione. “È fuori di dubbio - spiega Rasello - che questa fascia di lavoratori abbia accumulato un solido bagaglio di competenze, che costituisce un valore aggiunto per il tessuto produttivo e sociale. L’obiettivo, dunque, è far si che questo capitale non vada perduto con il loro pensionamento: per questo, abbiamo progettato un affiancamento aziendale consapevole, con un gruppo di esperti che hanno lavorato a stretto contatto con imprese, professionisti e ragazzi”.
Dal febbraio 2014 ad oggi, 42 giovani tirocinanti tra i 18 e i 29 anni sono stati reclutati dalla Ciofs-Ps, e indirizzati nelle 25 realtà aziendali che hanno aderito al progetto: tra queste, imprese di moda e design, agenzie di formazione e servizi, ed enti del prestigio di Confcooperative. In ognuna di queste, sono stati impiantati dei learning club, veri e propri spazi di apprendimento dedicati all’interazione tra giovani e rispettivi mentori. A tutti loro, i salesiani hanno messo a disposizione una serie di strumenti didattici, come il software francese “Performansé”, piattaforma di quiz attitudinali che, secondo Stefania Cibiem - 29enne che ha preso parte all’iniziativa - restituirebbe “un’immagine molto chiara e utile rispetto alle proprie reali attitudini e capacità”.
“Una parte dei tirocini - spiega Elisabetta Beccio, coordinatrice del progetto - era già programmata nell’ambito di servizio civile e garanzia giovani, che hanno accettato di collaborare con noi; i restanti li abbiamo attivati in prima persona. Ad ogni tirocinante è stato assegnato un tutor, con un calendario di incontri ben definito. Questi ultimi hanno seguito un corso preliminare, per prepararsi a formare i rispettivi tirocinanti; ognuno dei quali è passato a sua volta attraverso un periodo di orientamento iniziale, durante il quale è stato addestrato a riconoscere i propri punti di forza e debolezza, per poi incrociare attitudini e aspirazioni individuali”.
Un processo, questo, tutt’altro che scontato: almeno a sentire Stefania Cibiem, che ha appena concluso il suo anno di servizio civile all’interno di Confcooperative, dove, con la sua tutor, si occupava di bandi europei. “Imparare a riconoscere il proprio effettivo potenziale - spiega - non è semplice come si potrebbe credere; ma risulta molto utile proprio all’interno del successivo processo d’apprendimento, perché fornisce un’idea concreta degli aspetti da valorizzare e degli spigoli da limare. In questo senso, la mia tutor si è rivelata una persona molto attenta e presente”.
Pur non essendo un progetto volto all’inserimento lavorativo tout court, Open sembra dare finora dei buoni esiti anche sotto il profilo occupazionale. “Su 42 tirocinanti - conclude Beccio - soltanto una metà ha terminato il percorso; ma quattro o cinque di loro sono già stati riconfermati dalle aziende in cui hanno ricevuto il training”. In altre parole, il 30 per cento dei tirocini è terminato con un’assunzione: il che non è poco; anche se, precisa la coordinatrice, “l’obiettivo resta creare un’occupabilità sostenibile: ovvero, fare in modo che l’assunzione dei giovani torni ad essere un vantaggio nelle aziende. Nel corso del progetto, è spesso emerso come il contatto con i nuovi lavoratori tenda a giovare e ridare entusiasmo anche agli over 50: e ciò dimostra come questa sia un’operazione vantaggiosa per tutti”. (ams)