Minori fuori famiglia, appello per definire le linee guida sull’accoglienza
BOLOGNA – Cinque buone ragioni per accogliere e seguire bambini e adolescenti allontanati dalla loro famiglia a causa di abusi, violenza avvertita o incapacità dei genitori. Le associazioni e le comunità che in Italia si occupano di questa tematica hanno deciso di mettersi a nudo e raccontare le storie, le esperienze i numeri di chi lavora e dei ragazzi che grazie a educatori e operatori hanno la possibilità di ricostruirsi una nuova vita. E di lanciare un appello alle istituzioni affinché si definiscano linee guida e si adegui il fondo per l’infanzia e l’adolescenza a quelli che sono i bisogni reali. “Per una volta abbiamo deciso di essere noi a spiegare qual è il lavoro che facciamo – dice Federico Zullo dell’associazione Agevolando – e di non lasciare che siano altri a raccontarci”. Un incontro, quello di oggi 29 gennaio, organizzato oltre che da Agevolando, dal Cismai, dai coordinamenti nazionali delle comunità d’accoglienza e quelle per minori (Cnca e Cncm), dal Progetto famiglie e Sos villaggi dei bimbi che si è svolto in contemporanea in altre 6 città italiane e che si concluderà a Firenze. “Abbiamo stilato un manifesto dal titolo #5buoneragioni – continua Zullo – e lo abbiamo fatto per cercare di far capire all’opinione pubblica non solo gli aspetti importanti di questo lavoro ma anche il perché è necessario farlo”.
Secondo i dati, ripresi da diverse fonti istituzionali e raccolti dal Cnca, in Italia sarebbero 28.449 i bambini e i ragazzi che vivono lontano dalle loro famiglie d’origine. La metà all’interno di comunità e l’altra in affido familiare. La comunità è una casa in cui più ragazzi, massimo 8 per ogni struttura, si ritrovano a vivere insieme e dove sono seguiti da diversi educatori. Secondo i dati nazionali, riferiti al 2012, il 67 per cento dei ragazzi che iniziano questo percorso sono adolescenti o pre-adolescenti e per la maggior parte restano all’interno di queste strutture per non più di 2 anni. Del totale dei ragazzi 1 su 3 è straniero e il 49,5 per cento sono minori non accompagnati. L’affido consiste, invece, nell’avviare un percorso con una famiglia, che può essere parentale oppure estranea, in cui i ragazzi vengono inseriti. Rispetto alla comunità il percorso è più “intimo” ma l’uno non esclude l’altro. La sola differenza sta nel valutare l’interesse del minore. “In alcuni casi vi sono ragazzi o bambini i cui bisogni o problemi rendono più adeguato l’inserimento in una comunità educativa – continua Zullo – penso ai minori vittime di abusi sessuali, maltrattamenti, adolescenti allontanati tardi”. Dei 14.194 minori in affido, il 55 per cento sono ragazzi tra gli 11 e i 17 anni e di questi il 16,6 per cento sono stranieri. Le cause dell’allontanamento sono da ricercarsi in diversi fattori, ma per la maggior parte sono legati a inadeguatezza genitoriale, cioè l’incapacità di rispondere ai bisogni emotivi dei propri figli, il resto si tratta di maltrattamenti o incuria, dipendenze dei genitori o problemi relazionali in famiglia. Risulta marginale invece la questione economica, lavorativa o abitativa che non è un motivo per sottrarre i figli ai genitori d’origine.
Ma quanto si spende in Italia per i servizi assistenziali in comunità? Secondo un’analisi fatta dalle associazioni su tutto il territorio nazionale, la spesa in quest’ambito non risponde a pieno ai bisogni delle strutture e delle persone che vi lavorano. In base ai loro calcoli, infatti, il costo annuo per garantire i servizi, all’interno di una comunità di 8 ragazzi, si aggirerebbe sui 442 mila euro, che corrisponderebbe a 151 euro al giorno per ogni ospite. “Abbiamo interpellato diverse strutture del Paese - conclude Zullo – e siamo arrivati a considerare che 100 euro è la retta media di spesa. Se la calcoliamo per un anno e per i 14 mila minori coinvolti arriviamo a mezzo milione di euro. Parliamo di 265 milioni in meno rispetto a quanto calcolato considerando i 151 euro come una spesa adeguata per garantire un servizio efficiente”. (Dino Collazzo)