Musica, scrittura, volontariato: Angelo, ex detenuto alla ricerca del tempo perduto
CATANZARO - Angelo, 64 anni, un passato da detenuto e un presente da volontario per un’associazione impegnata in Calabria sul fronte della mediazione familiare e penale. Una laurea in sociologia conseguita alla “Sapienza” di Roma, oggi - sottoposto a misura alternativa - dà una mano come sociologo per la realizzazione di uno studio volto a comprendere come le persone detenute, minorenni e adulti, vivono l’esperienza di restrizione della libertà personale, come immaginano il loro futuro, cosa pensano di loro stessi e del loro operato, cosa pensano delle loro vittime e delle possibili forme di mediazione.
Insomma: Angelo ora è dall’altra parte della barricata. Questa nuova strada, spiega, è la naturale prosecuzione di un “percorso interiore e di riflessione” per fare i conti con un passato che non potrà mai essere del tutto cancellato. “Ho fatto una cosa che non dovevo fare, il peso di quanto è accaduto resterà per sempre dentro di me”, dice ricordando le ragioni per cui è finito in galera: la tentata uccisione della moglie, per cui è stato condannato con sentenza definitiva arrivata nel 2011 a quattordici anni di carcere, poi ridotti a sei anni e otto mesi anche per effetto dell’indulto.
Per la costruzione di una nuova vita da persona quasi libera gli studi di sociologia - “anche se mi hanno aiutato a comprendere il microcosmo sociale del carcere”, afferma -, sarebbero c’entrati poco. Come poco sono contati nella sua vita precedente: le statistiche, del resto, ci dicono che la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale che prescinde dal tipo di istruzione e dal ceto sociale di appartenenza. “Al di là della professione, prevale l’uomo: siamo prima di tutto uomini, con pregi e difetti - dice infatti Angelo -. Il mio è stato un percorso personale, introspettivo, non pensavo al fatto di essere sociologo, come un medico non pensa sempre alla medicina. E poi, per natura, sono portato a vedere il bicchiere mezzo pieno…”.
“Dentro di te” è, non a caso, il titolo di una canzone che Angelo ha scritto dal carcere di Bollate, a Milano, dove è stato per oltre quattro anni. Il brano - presentato e trasmesso dal minuto 28,00 su Radio Popolare per il programma Jailhouse Rock condotto da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti, dell’associazione “Antigone” - “descrive la sofferenza di chi vive in carcere, ma dà anche un messaggio di speranza”.
Il testo contiene frasi che sono lo specchio della “filosofia” seguita da Angelo per scrivere le nuove pagine della sua vita. A partire dalla vita in carcere. “Dentro di te c’è il bene e il male. Ricordalo sempre, non lo scordare”: questo il primo motto. Un invito a guardarsi dentro per agire con consapevolezza.
Parlare a noi stessi e con agli altri, è il suo messaggio: “Io tenevo tutto dentro, non parlavo. E ho combinato quel che ho combinato… Bisogna parlarsi”, suggerisce Angelo in questa intervista per Redattore Sociale, citando il consiglio dato a un amico sentendolo litigare con la moglie e rivivendo per un attimo le scene del suo (indelebile) passato.
“Cerca la chiave nella tua vita, dentro di te”, è l’altro appello della canzone. E ancora: “Vivi il tuo tempo, il tuo tesoro, non lo sciupare”. Dunque, trovare le risposte della rinascita dentro noi stessi, impiegando al meglio il nostro tempo, coltivando i nostri talenti: questa la via di uscita, la risposta resiliente sperimentata da Angelo.
“Carcere o non carcere, il tempo è la nostra ricchezza”, spiega in questa intervista il testimone diretto di questa storia. “E se il tempo non lo sprechi stando su una brandina a guardare il soffitto, trai dei vantaggi”. Le ore, i minuti, i secondi che Angelo trascorre come detenuto sono contrassegnati da tante cose, oltre il vuoto del nulla. Del periodo in carcere a Paola, in Calabria, l’uomo ricorda poche iniziative, tra queste il lavoretto come bibliotecario e gli studi all’Alberghiero. Mentre, a suo dire, ben altra storia è quella di Bollate. Durante il periodo nel carcere milanese, coordina il laboratorio di arte e cuoio insegnando alle altre persone detenute i segreti della lavorazione della pelle e del cuoio, che è poi il mestiere di cui oggi Angelo vive e il lavoro di un altro suo amico ex ospite della Casa di reclusione. “Condividere il mio tempo e la mia esperienza con gli altri mi ha aiutato”, dice ancora. Dopotutto, l’insegnamento è stato una parte importante del suo passato come docente alle scuole superiori.
Sempre a Bollate, Angelo pratica e insegna la musica come bassista. Inoltre canta, soprattutto i cantautori italiani. De André tra i preferiti: lo fa in una sala d’incisione dell’istituto penitenziario, ma anche fuori, come quella volta a Pero, nel Milanese, al concerto per la Caritas, o in collegamento settimanale con Radio Popolare. E non manca la scrittura: gli articoli per “Carte Bollate”, il periodico d’informazione del carcere lombardo, con contributi di vario tipo, come quelli in tema di antropologia culturale. “Queste esperienze - scandisce Angelo - mi hanno aiutato a migliorare il mio spirito di osservazione, a guardare gli altri con più attenzione. Mi hanno aiutato a riflettere e a guardare meglio dentro me stesso”. Il valore del tempo vissuto appieno nel periodo della reclusione e il tempo del volontariato dopo, sono dunque la “chiave” interiore per aprire la porta della libertà. Fermo restando che “il vero carcere è quello nella nostra testa”. (Francesco Ciampa)