Storia di Nusra, nata in un centro di detenzione in Libia e ora in salvo in Italia
Foto: Unhcr
ROMA - Nusra è nata in un centro di detenzione in Libia otto mesi fa. Sua madre, Jamila, l’ha partorita senza nessuna assistenza, aiutata solo dalle altre donne, tenute imprigionate come lei. E come lei vittima di abusi e tortura. Jamila ne porta i segni sul volto, una cicatrice da taglio lungo la guancia, fatta dai trafficanti per ricattarla e costringerla a pagare. Ieri sera, Jamila, Nusra e il figlio più grande Mohammed sono arrivati a Pratica di Mare con un’evacuazione dalla Libia organizzata da Unhcr. Insieme a lei altre 148 persone, tra cui 65 minori, 13 bambini che hanno meno di un anno e un neonato di appena due mesi. Prima di partire Jamila ha fatto in tempo ad avvisare il marito che si trova in Sudan. Durante il viaggio dall’Eritrea alla Libia i trafficanti a cui si erano affidati hanno separato la coppia. Mohammed aveva appena un anno e mezzo ed è stato portato in detenzione con la madre, mentre il papà è stato rimandato indietro. Una volta concluso l’iter per la richiesta d’asilo la donna spera di riuscire a chiedere il ricongiungimento familiare e portare anche suo marito qui, al sicuro. La storia di Jamila è simile a quella di altre donne sole e dei tanti bambini che da ieri hanno un futuro diverso. Dopo l’arrivo nella serata all’aeroporto militare di Roma sono stati tutti trasferiti nei centri di accoglienza in diverse città italiane.
“Sono necessarie altre operazioni di evacuazione,” sottolinea Jean-Paul Cavalieri, Capo della Missione dell’Unhcr in Libia. “Queste operazioni rappresentano un’àncora di salvezza per i rifugiati, per i quali l’unica altra possibilità di fuga consiste nell’affidare le loro vite a trafficanti senza scrupoli per attraversare il Mediterraneo”. L’evacuazione è stata determinata anche dall’acuirsi dei violenti scontri e del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Tripoli. Il gruppo di 149 persone, scelte tra le più vulnerabili, è stato trasferito dal Centro di Raccolta e Partenza dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dopo mesi trascorsi in condizioni disperate all’interno dei centri di detenzione in altre zone della città. L’evacuazione è stata portata a termine in collaborazione con le autorità italiane e libiche. All’inizio di questa settimana, 62 rifugiati urbani provenienti da Siria, Sudan e Somalia sono stati evacuati da Tripoli al Centro di Transito di Emergenza dell’Unhcr a Timisoara, in Romania, dove riceveranno cibo, abiti e cure mediche prima di proseguire il loro viaggio verso la Norvegia. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) ha fornito il supporto necessario al trasporto. In tutto quasi 1.000 rifugiati e migranti sono stati evacuati dalla Libia o reinsediati nel 2019. “Poiché il conflitto a Tripoli non accenna a placarsi, continua ad aumentare il rischio che le persone detenute vengano coinvolte negli scontri.
L’Unhcr ribadisce la sua richiesta agli Stati di offrire ulteriori opportunità di evacuazione e corridoi umanitari per portare al sicuro i rifugiati detenuti in Libia - si legge nella nota -. Dall’inizio di aprile, gli scontri tra forze rivali e i pesanti bombardamenti hanno costretto più di 83.000 cittadini libici a fuggire e ad abbandonare le proprie case. Le amministrazioni locali e le comunità ospitanti hanno svolto un ruolo determinante nel fornire assistenza agli sfollati interni, molti dei quali hanno trovato rifugio in scuole e in altri edifici pubblici. Altri si sono spostati in città e villaggi vicini, accolti da amici e parenti”. L’Unhcr ha fornito aiuti di emergenza e beni di prima necessità a più di 9 mila persone costrette a fuggire, e attraverso il Ministero della Salute e la Mezzaluna Rossa Libica ha donato agli ospedali forniture mediche e ambulanze. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), circa 600 persone hanno perso la vita nei recenti scontri. La scorsa settimana, due autisti di ambulanze sono morti a causa dei bombardamenti. L’Unhcr ribadisce che prendere di mira la popolazione civile e gli operatori umanitari costituisce una violazione del diritto internazionale, e richiede che i responsabili di questi attacchi siano chiamati a renderne conto.