Torino, sei anni dell’alzheimer caffè: 200 famiglie seguite, ma non basta
TORINO - Il primo ha aperto i battenti nella sede di un circolo per anziani in via Luserna di Rorà. Era il dicembre del 2010, e a Torino una struttura del genere non s’era mai vista: perché se dei malati la sanità sabauda riusciva bene o male a farsi carico, una risposta articolata al disagio vissuto dalle famiglie, fino ad allora, nessuno l’aveva realmente data. È per questo che nel capoluogo gli Alzheimer caffè hanno iniziato fin da subito a lavorare a pieno regime; dopo via Luserna sono arrivati via Tepice e via Guido Reni, mentre il numero delle strutture si andava moltiplicando anche nel resto della regione: la prima a Dronero nel 2011, l’ultima a Chivasso una manciata di mesi fa, per un totale di 25 centri, “che due anni fa, però - spiega Davide Gallo, psicoterapeuta e responsabile del caffè di via Luserna - erano soltanto 13, il che da un’idea di quanto questo genere di approccio si stia diffondendo a macchia d’olio sul territorio”.
Secondi gli ultimi dati della regione, al momento sarebbero più di 75mila i malati di Alzheimer presenti in Piemonte, a fronte di 600mila in Italia e 50 milioni nel resto del mondo. Dati alla mano, l’emergenza pare destinata a durare ancora a lungo: la “paziente zero” il dottor Alois Alzheimer la studiò esattamente un secolo fa: era il 1906, e ad oggi - nonostante gli almeno 200 farmaci testati - una cura efficace non è ancora stata trovata. Nel frattempo, ad ammalarsi hanno iniziato pure i caregiver, ovvero i familiari del malato o chi per loro se ne prende cura: la patologia in questo caso si chiama “burnout”, una violenta forma d’esaurimento nervoso che colpisce quanti, per professione o contingenza, devono farsi carico per lunghi periodi di malati gravi o non autosufficienti. È per loro che nel 1997, a Leida (Olanda), lo psicogeriatra Bère Miesen immaginò il primo Alzheimer caffè: un posto in cui ci si prendesse cura, in prima battuta, del caregiver, attraverso una serie di interventi psico-sociali tra i quali gruppi d’auto aiuto, assistenza per l’accesso ai servizi sanitari e assistenza temporanea al malato. “Abbiamo continui contatti con i responsabili dell’area anziani dei servizi sociali” continua Gallo. “Sono loro, il più delle volte, a inviarci le famiglie. Quando arrivano, molto spesso, devono farlo accompagnati dal paziente: e questo rende l’idea di quanto sia impegnativo prendersi cura di un malato di Alzheimer. In casi del genere, per la durante dell’incontro, il paziente viene seguito dai nostri volontari, che lo impegnano in attività ludico-ricreative volte, ad esempio, alla stimolazione cognitiva e all’orientamento spazio temporale. Nel frattempo, gli psicologi e il personale si occupano del caregiver”.
La scorsa settimana, l’Alzheimer caffè di via Luserna di Rorà, che il dottor Davide Gallo ha contribuito a fondare e dirigere, ha tagliato il traguardo dei sei anni di attività: “in questo lasso di tempo - continua Gallo - abbiamo seguito circa 200 famiglie. L’obiettivo è, in primo luogo, alleviare il loro livello di stress, che al momento dell’ingresso di solito è parecchio elevato. Anche gli interventi sul paziente sono finalizzati a questo; l’idea è evitare tassativamente di sostituirsi alla sanità, agendo sull’anziano solo in un’ottica che sia funzionale alla famiglia: cerchiamo di lavorare sui quei disturbi comportamentali collegati alla patologia che rappresentano il costo maggiore, in termini di energie, per il caregiver” Come questo si traduca nella realtà è presto detto: “abbiamo una famiglia - illustra Gallo - la cui madre non era quasi più in gradi fare nulla in autonomia. Col nostro aiuto è tornata, ad esempio, a usare le posate, sollevando i familiari dal compito di imboccarla a tavola. In questo modo, col tempo, osserviamo il livello di stress scendere a vista d’occhio”.
Nel centro di via Luserna, i familiari si incontrano ogni mercoledì, per 3 volte al mese. “In media - continua Gallo - la presenza è di 20 nuclei per ogni appuntamento. Ma la richiesta continua ad essere davvero ampia: al momento, la permanenza in lista d’attesa per l’accesso al servizio si attesta sui 12 mesi. Per non dire che, per quanto si diano da fare, tre centri in una città di un milione d’abitanti non possono essere sufficienti”. Un tentativo, in questo senso, lo ha fatto proprio lo staff del caffè di via Luserna, in sinergia con il personale dell’Asvad (associazione di solidarietà e volontariato a domicilio) e del centro di salute psicofisica: un anno fa hanno lanciato il Caffè Alzheimer itinerante, un ciclo di cinque incontri gratuiti presso le cinque circoscrizioni del capoluogo sabaudo che ancora non sono servita da una di queste strutture.
“Anche in questo caso - spiega Gallo - il primo obiettivo è accrescere il livello di consapevolezza, per poter poi incidere sullo stress. Avere un paziente affetto da demenza oggi è ancora percepito come un motivo di vergogna; ragion per cui le famiglie continuano spesso, e a lungo, a negarsi la realtà oggettiva in cui versano i loro cari: c’è ancora poca attenzione ai sintomi, e una volta che questi diventano evidenti, il nucleo familiare tende a isolarsi, accrescendo così il proprio malessere. Quando si decidono a venire da noi, spesso lo stato della malattia è fin troppo avanzato”.
Per questo, di recente, in via Luserna è stato redatto anche “Facciamo un caffè”, un manuale di “istruzioni per l’uso” per chiunque voglia aprire una di queste strutture: in 140 pagine, vi si trovano informazioni dettagliate sulla progettazione e sull’avvio, sulla raccolta dei fondi, sul reclutamento di volontari e personale socio-sanitario, oltre che sulle diverse strategie di intervento rivolte al paziente. “È evidente - conclude Gallo - che la rete dei caffè Alzheimer sta già crescendo: nel 2014, quando organizzammo un convegno per ‘contarci’ e metterci a confronto, il Piemonte contava 13 strutture sul suo territorio. Ora, a due anni di distanza, sono diventate 25: il che va benissimo, ma non è ancora abbastanza”. (ams)