Tratta. Storia di K., attirata in Italia con la promessa dell’università
CATANIA - K. ha quasi 20 anni. È partita dalla Nigeria alla volta dell’Italia nell’ottobre del 2015. Sognava di frequentare l’università, amava studiare e voleva farlo, grazie a una borsa di studio, proprio nel nostro Paese. Ma, una volta atterrata, la aspettava una realtà ben diversa: è finita in strada, sfruttata da una donna nigeriana. Oggi K. è di nuovo una donna libera grazie all’intervento di una unità di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII. È lei, a volto coperto, a raccontare, per la prima volta, la sua storia. Lo fa a Saluzzo, in provincia di Cuneo, insieme con Katiuscia Vitaggio, volontaria della Comunità fondata da Oreste Benzi in occasione dell’evento di denuncia delle violenza subita dalle donne vittime di tratta.
“K. aveva 18 anni quando è partita dalla Nigeria. Aveva già cominciato l’università, ma sognava di continuarla in Italia. Un’amica di famiglia disse di conoscere una signora nigeriana che viveva in Italia e che avrebbe potuto aiutare la ragazza ad ambientarsi, mettendole anche a disposizione la propria casa. K. parlò con questa donna, che la convinse a impegnarsi a fondo per passare il test che le avrebbe dato la possibilità di partire. Le disse che ne valeva assolutamente la pena, ma che l’università qui è molto costosa. La tranquillizzò dicendole che l’avrebbe supportata anche economicamente, perché credeva nel suo sogno”. K. studiò con impegno e passò il test. Si fece il passaporto e volò a Roma, pronta alla nuova avventura. In aeroporto, la signora la stava aspettando: “La portò a casa sua, e solo in quel momento si tolse la maschera. La picchiò brutalmente, le sequestrò tutti i documenti. ‘Non hai diritto a nulla – la minacciò –. Scordati l’università. Sarai tu a pagare la scuola ai miei figli, lo farai andando in strada’. K. si oppose, la sua sfruttatrice la picchiò di nuovo. Fu costretta a prostituirsi”.
Katiuscia e K. si sono incontrate per la prima volta il 3 gennaio 2017. La volontaria era in giro con l’unità di strada catanese della Papa Giovanni: “Ci siamo fermati di fronte a lei e le abbiamo proposto di scappare. Immediatamente, con una lucidità che raramente abbiamo incontrato in condizioni simili, si è fidata di noi. L’abbiamo portata via quella sera stessa: era come se avesse estrema consapevolezza della gravità della situazione in cui si trovava e fosse preparata”.
Oggi K. vive in una casa famiglia. A chi l’ha seguita, ha parlato dell’umiliazione, delle percosse, del dolore che la sua sfruttatrice le ha causato. Per giorni non l’ha fatta mangiare, quando è stata intercettata dalla Papa Giovanni era a digiuno da una settimana. Ogni notte la obbligava a spogliarsi nuda e la perquisiva per essere sicura che non si fosse tenuta nulla per sé. E se i soldi che le consegnava non erano, a suo dire, sufficienti, la picchiava. K. poteva chiamare i suoi famigliari solo in sua presenza: “Filtrava le telefonate, le faceva ripetere che andava tutto bene, che l’università era bella e la signora che la ospitava molto gentile. Quella donna faceva quel lavoro da molto tempo. Possiamo dire solo questo, ci sono delle indagini in corso”.
K. fisicamente sta meglio, si è ripresa in fretta, “ma dal punto di vista psicologico sta ancora male. Spesso non dorme la notte, piange. Ma alterna questi momenti di buio ad altri di buonumore”. Frequenta l’università, vuole laurearsi: concentrarsi su un obiettivo preciso la aiuta a non pensare al passato. Vuole restare in Italia: “Considera l’essere finita in strada un fallimento. Tornare in Nigeria sarebbe un fallimento ancora peggiore, perché si troverebbe costretta a raccontare a tutti la sua storia, che oggi, invece, è nota solo ai genitori”.
L’evento a Saluzzo è stato anche l’occasione per parlare della campagna “Questo è il mio corpo”, iniziativa nazionale della Comunità Papa Giovanni che sostiene le proposte di legge che affrontano il tema della tratta delle donne contrastando la domanda del sesso a pagamento. (Ambra Notari)