Alle Paralimpiadi più atleti e meno disabili: cosa resta di Rio 2016
- ROMA – Alla fine, è stato tutt’altro che un flop. I timori della vigilia si sono trasformati, al termine dei 12 giorni della quindicesima edizione dei Giochi Paralimpici, in una inossidabile certezza: le Paralimpiadi sono ormai un evento planetario, capace di offrire prestazioni sportive di altissimo livello e di lasciare –anzitutto nella città che le ospita - un forte messaggio di inclusione e di normalità. Una normalità che in particolare emerge da Rio 2016 nella tendenza, ormai sempre più diffusa, a raccontare l’evento sempre più con i termini e il linguaggio di una qualsiasi manifestazione sportiva. I protagonisti delle Paralimpiadi, che a lungo sono stati i disabili, ora sempre più stanno diventando gli atleti.
Giunte alla quindicesima edizione, le Paralimpiadi sono un evento mondiale, capace di attrarre l’attenzione collettiva: sono un appuntamento da seguire per coloro che lo hanno nella propria città o nel proprio paese, sono un avvenimento capace di far parlare di se stesso, di attrarre considerazione mediatica, ascolto televisivo, condivisione social, e conseguentemente anche sponsorizzazioni. Al momento della chiusura delle Olimpiadi di Rio erano stati venduti appena 200 mila dei 2,5 milioni di biglietti disponibili per la Paralimpiade: a giochi fatti, il totale dei tagliandi venduti, dopo un prodigioso recupero, ha superato quota due milioni, il che rende Rio 2016 paralimpica il secondo evento più partecipato della storia del movimento, dopo Londra 2012, quando i biglietti venduti furono 2,7 milioni. Rio è stato invece da record come copertura televisiva, con gare trasmesse in 154 paesi, il 30% in più dei 115 che avevano visto la Paralimpiade londinese.
E’ stata la Paralimpiade delle prestazioni sportive maiuscole, con oltre 200 record mondiali abbattuti in 11 giorni di gare. Ha fatto notizia che la finale dei 1500 metri T12-13, riservata ad atleti ipovedenti, abbia visto ai primi quattro posti quattro atleti capaci di correre sotto il tempo che ad agosto aveva fatto segnare il vincitore della gara olimpica: un fatto emblematico, seppur facilmente spiegabile con questioni di tattica di gara (il record mondiale olimpico rimane pur sempre trenta secondi più basso di quello paralimpico), ma che segnala in ogni caso un dato evidente, ormai sotto gli occhi di tutti. Ci sono atleti paralimpici che hanno delle prestazioni sportive che si possono paragonare a tutto tondo a quelle dei loro colleghi olimpici. Due nomi su tutti: la cubana Omara Durand, ipovedente, che corre con l’aiuto di una guida, ha vinto tre ori correndo con tempi di tutto rispetto: il 51,77 della vittoria sui 400 metri era degno della finale olimpica. Al di là delle lunghe discussioni sugli effetti delle protesi sulla prestazione, il saltatore in lungo Markus Rehm ha vinto l’oro con la misura di 8,21 metri, che alle Olimpiadi sarebbe valsa il quinto posto assoluto; e per inciso con il suo primato personale (8 metri e 40) dalle Olimpiadi si sarebbe portato a casa perfino l’oro.
Eppure, le Paralimpiadi si confermano a Rio 2016 un evento capace di andare oltre le singole prestazioni sportive, per quanto sensazionali e per certi versi incredibili esse possano essere: ciò che rende questi Giochi davvero “diversi” è la potenza del messaggio che ogni volta riescono a dare, la carica di vitalità e di entusiasmo, oltre ogni difficoltà e oltre ogni barriera, che riescono a trasmettere. La Paralimpiade è evento che rompe gli schemi, che muta il concetto di abilità e di disabilità, che sconvolge credenze che sembravano ovvie, che rovescia il significato di limitazione.
E’ un tesoro che da sempre la Paralimpiade si porta dietro ma che in qualche modo sta diventando normale. Non c’è più bisogno di metterlo in evidenza, non c’è più necessità di mettere enfasi nell’argomentare che i limiti si possono superare, che quello che è creduto impossibile possa diventare possibile, che anche le persone con disabilità possono esprimere abilità. La novità di Rio 2016 – che a Londra era in fasce e che qui è esplosa - è stata proprio il porre l’attenzione in modo preponderante, quasi esclusivo, sull’aspetto sportivo. Anche nel racconto, nel modo di comunicare l’evento, la dimensione sportiva fatta di allenamenti, tecnica, prestazioni, misure, tempi, emerge come la chiave di lettura principale, quasi esclusiva. Sempre più atleti e sempre meno disabili, nell’immaginario collettivo.
I Giochi Paralimpici insomma si stanno in qualche modo “normalizzando”, stanno entrando in una dimensione sportiva molto più marcata pur rimanendo, nonostante tutto, il più grande evento inclusivo dell’intero panorama mondiale, inteso in chiave globale, non solo sportiva. Utilizzando il linguaggio dello sport – linguaggio universale per eccellenza – le Paralimpiadi restano il principale avvenimento capace di mettere meglio in rilievo le abilità a dispetto delle disabilità. Dalla politica allo spettacolo, dalla musica al cinema, non esiste niente di paragonabile per forza e intensità del messaggio. Lo spirito degli atleti paralimpici, con la loro voglia di non mollare e di riprendere una vita piena anche dopo un momento di grande sofferenza personale, dispiega i suoi effetti in chi li guarda ad ogni latitudine, perché ad ogni latitudine c’è la sofferenza, ci sono persone colpite nel corpo e nella mente dalla disabilità. Ecco perché in fondo si può anche perdonare al movimento paralimpico la retorica sugli “eroi” o sui “super-umani” che di tanto in tanto fa capolino qua e là: questo è contorno, l’essenziale sta invece in quelle loro storie, umane, anzi umanissime, di persone ferite da qualche tipo di difficoltà che riprendono in mano la vita sfruttando la potenzialità infinita dello sport.
L’effetto dirompente e moltiplicatore di un evento che mette assieme migliaia di storie di questo genere – erano 4.300 gli atleti in gara a Rio – non può non lasciare così nella società anche dei risultati assolutamente intangibili: un cambiamento culturale nella percezione delle abilità e delle disabilità che piano piano sta contribuendo, quadriennio dopo quadriennio, a cambiare il mondo. (ska)