3 dicembre. Casa al plurale alle istituzioni: "Date risposte alle nostre case famiglia"
ROMA - “E se facessimo tutti come Alice nel paese delle meraviglie, che festeggia ogni giorno il “buon non compleanno”, senza attendere il 3 dicembre per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita?”. La provocazione viene da “Casa al plurale”, l’associazione che rappresenta le organizzazioni operanti nel Lazio a sostegno delle persone con disabilità e di minori. In una nota diffusa oggi, “Casa al plurale” scrive: “Caro prefetto Gabrielli, caro commissario Tronca, caro presidente della Regione Zingaretti, fate in modo che la Giornata della disabilità sia per i prossimi 364 giorni! Date risposte concrete a ‘Casa al plurale’, che già ‘festeggia’ tutti i giorni questa realtà: attraverso le tante case famiglia di Roma e Lazio si prende cura, infatti, quotidianamente, di persone con disabilità e senza una famiglia in grado di provvedere loro”.
Un appello e “una sfida sulle responsabilità di chi governa una comunità”. Prosegue l’organizzazione: “Per restituire dignità al lavoro e prendersi la responsabilità di dare risposte, servono risorse economiche: il Comune di Roma attualmente stanzia per le case famiglia la metà di quel che serve. Se dovessimo usare solo i soldi del Comune un operatore sociale guadagnerebbe 3,86 euro netti per ogni ora lavorata: si sa che, a queste condizioni, solo i potenti e i mafiosi possono essere ‘competitivi’! Complessivamente, il Comune di Roma stanza 15 milioni di euro, mentre quello di Torino 60 milioni. Attualmente a Roma ci sono 400 persone in lista di attesa. A Torino nessuna”.
L’associazione pone all’attenzione anche la questione, cruciale per le famiglie, del “dopo di noi”. “C’è una domanda comune a tutti i genitori italiani di una persona con disabilità: ‘Dopo di noi, chi si prenderà cura di nostro figlio con disabilità?’. Tale domanda si traduce in un’altra domanda, che non possiamo ignorare: ‘Di chi è la responsabilità, ovvero la capacità di dare risposte?’. Concretamente le risposte possibili sono tante: la vita autonoma e indipendente per chi è in grado ed è messo nella condizione di esserlo, la vita in famiglia per chi ce l’ha e sceglie di restarci, oppure la vita in casa famiglia: di certo mai più istituti o grossi centri di accoglienza e Rsa. Le case famiglia sono piccoli appartamenti, nei quali vivono in media sei persone con disabilità. Con un gruppo di educatori presenti mattina, pomeriggio, notte, tutti i giorni della settimana, Natale, Capodanno, Pasqua, tutti i 365 giorni dell’anno”.
Certo, “le case famiglia costano. Come costa l’assistenza, la cura dei malati oncologici o una dialisi o una scuola elementare e nessuno si sognerebbe di chiudere una scuola per risparmiare o interrompere una dialisi! È compito della comunità prendersi cura dei proprio concittadini più fragili. I figli non sono figli solo di due persone, sono figli di una comunità che ha il dovere della responsabilità - dice il presidente di Casa al Plurale, Luigi Vittorio Berliri -. Quando a quella domanda angosciata (‘dopo di noi?’) si dà una risposta, il 3 dicembre e tutti i successivi 364 giorni diventano davvero una festa, diventano cioè l’occasione quotidiana per ribadire la necessità di un impegno comune nel garantire alle persone con disabilità i fondamentali diritti umani, senza alcuna forma di discriminazione”. (ep)