8 marzo, “Non una di Meno” contro il patriarcato. E chiede il cessate il fuoco
ROMA - “Non uno sciopero classico, ma uno sciopero dal lavoro salariato e gratuito, dal lavoro di cura, dai ruoli di genere e da tutte le attività quotidiane per interrompere la normalità in ogni luogo dove la violenza del patriarcato agisce e si riproduce”: così Non una di Meno lancia l'iniziativa per il prossimo 8 marzo, “contro la violenza patriarcale in tutte le sue forme”. E alla lotta contro la violenza sulle donne, si affianca la richiesta, forte, di cessate il fuoco a Gaza: “In Italia come in tutto il mondo, lo sciopero dell'8 marzo di quest’anno sarà centrato sull’opposizione al genocidio che si sta consumando in Palestina per mano di Israele, e chiede fermamente un cessate il fuoco permanente e la fine dell'occupazione”.
Lo scioero, cui hanno aderito i sindacati di base USB, CUB, USI, Slai Cobas e ADL Cobas e alcuni settori della Cgil, vuole “mostrare come l’ascesa delle destre in Italia e a livello globale abbia reso ancora più dure le politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano sfruttamento e violenza”.
Il movimento Non Una di Meno denuncia che “le politiche del governo Meloni intensificano la violenza patriarcale che colpisce le donne e le persone lgbtqia+ . Lo si vede nella legge di bilancio, che prevede bonus e detrazioni solo per donne che hanno più di due figli e con un contratto a tempo indeterminato, ma esclude le donne migranti impiegate nel lavoro domestico, che anzi subiranno più controlli fiscali. Si vede anche nelle politiche di contrasto alla violenza di genere, che passa per misure securitarie e razziste, come l’inasprimento del codice rosso e il Decreto Caivano; si vede nei finanziamenti nell’industria bellica a discapito delle politiche di welfare, le cui carenze ricadono doppiamente sulle donne; o nell’approvazione del Decreto Cutro, che prevede procedure accelerate di rimpatrio e intensificazione delle attività dei CPR, nei tentativi di redigere accordi per l'espulsione dei migranti con paesi terzi come l’Albania e più in generale in un approccio emergenziale e punitivo alla migrazione che riproduce marginalità e violenza”.
L'appuntamento principale è a Bologna, alle 9.30 a Piazza Maggiore: qui ci sarà un microfono aperto e confluiranno diverse lotte, per il diritto alla casa, per delle condizioni migliori di lavoro. La piazza dello sciopero sarà, inoltre, caratterizzata da varie attività organizzate dalle diverse realtà in sciopero, tra cui la Casa delle donne, il collettivo Rivolta Pride e diverse associazioni del territorio. La piazza dello sciopero confluirà in un grande corteo che partirà alle ore 17:00 da piazza XX Settembre, in cui ancora una volta urleremo: se ci fermiamo noi si ferma il mondo!
Le lavoratrici del Sant'Orsola
Non una di Meno affianca, tra l'altro, le 52 lavoratrici del Sant'Orsola, il terzo ospedale d'Italia: da quasi un anno un gruppo di lavoratrici e lavoratori esternalizzati dei servizi integrati alla persona è in stato di agitazione. Sono impiegati dalla cooperativa Rekeep e L’Operosa e si occupano della pulizia, della sanificazione dell’ospedale, del trasporto del materiale biologico, nonché dei rifiuti e della biancheria ospedaliera. “Si tratta di un lavoro essenziale per il funzionamento del servizio sanitario, per la salute dei pazienti e del personale ospedaliero, ma viene svolto in condizioni ormai insostenibili – spiega l'associazione - La situazione è peggiorata drasticamente durante la pandemia, nel 2020, quando è subentrata una nuova cooperativa che ha imposto condizioni di lavoro peggiori e che si sono normalizzate: salari più bassi, anche inferiori ai 6,5 euro l’ora netti, mancanza di materiali e strumentazione adeguata, assistenza sanitaria a proprio carico per persone che stanno a contatto con materiale biologico e che svolgono un lavoro a rischio e usurante, decisioni arbitrarie dei responsabili e della cooperativa rispetto a turni e permessi che non si conciliano con le esigenze di chi lavora, intimidazioni contro chi non accetta queste condizioni e decide di lottare. A portare avanti questa lotta ci sono anche tante donne, in prevalenza migranti, e non è un caso! Le donne
sono ritenute naturalmente predisposte a svolgere un lavoro essenziale ma invisibile: il lavoro di cura. Se dentro casa il lavoro di cura è gratuito, fuori casa è sfruttato, è precario, ha ritmi di lavoro e turni logoranti, scarse o nulle tutele per la salute, espone costantemente le lavoratrici al rischio di ammalarsi e infortunarsi. Questa lotta ci riguarda perché lo sfruttamento delle lavoratrici si accompagna allo smantellamento e all’aziendalizzazione dei servizi sanitari, che mette a rischio la salute di tutte e di tutti”.