“A muso duro”: la fiction su Maglio, il medico che inventò le Paralimpiadi
Flavio Insinna nei panni di Antonio e Francesco Gheghi (Michele) in una scena del film “A Muso duro”
Antonio Maglio è stato il padre del movimento paralimpico italiano e il promotore delle prime Paralimpiadi, che ebbero luogo per la prima volta a Roma nel 1960. Che bisognasse attendere il 1984 perché la manifestazione sportiva, che prese il via il 18 settembre di 62 anni fa negli impianti sportivi dell’Acqua Acetosa, due settimane dopo la chiusura delle Olimpiadi, fosse ufficialmente riconosciuta come la prima edizione dei Giochi paralimpici, conta poco: perché era chiaro a tutti, o per lo meno era chiaro ai presenti, che quel giorno si stava scrivendo la storia. Eppure, ancora oggi, se Bebe Vio e le centometriste paralimpiche, che hanno tinto di azzurro i tre gradini del podio a Tokyo 2020, sono note in tutto il mondo, non tutti conoscono il nome di Antonio Maglio, il medico dell’Inail che, alla fine degli anni Cinquanta, portò la sport-terapia al Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina”: un metodo rivoluzionario utilizzato per la prima volta a Stoke Mandeville, vicino Londra, dal dottor Ludwig Guttman per la riabilitazione dei reduci mielolesi della Seconda Guerra Mondiale.
Così il merito principale di “A muso duro - Campioni di vita”, il film per la tv di Marco Pontecorvo in onda il 16 maggio su Rai Uno, liberamente ispirato alla vita del dottor Maglio, è proprio quello di rendere nota al grande pubblico una storia che andrebbe conosciuta da tutti, in primo luogo dai più giovani. Con Flavio Insinna nei panni di Antonio Maglio e Claudia Vismara nella parte della futura moglie Maria Stella Calà, il film sottolinea alcuni dei punti essenziali della vicenda: l’audacia di un uomo che, precorrendo il futuro, riuscì perfettamente a coniugare lo spirito del sognatore con gli strumenti del medico e del ricercatore. "La storia del dottor Maglio, dei suoi ragazzi e della nascita di quelli che sono stati considerati i primi Giochi paralimpici nell’Italia del boom economico mi ha immediatamente catturato", racconta il regista Pontecorvo. "Ho scoperto la sua storia attraverso un soggetto che mi aveva fatto leggere Paolo Bianchini de L’Alveare Producecinema e che poi ho sviluppato in una sceneggiatura insieme a Grazia Giardiello e Roberto Jannone. La storia mi ha affascinato immediatamente, così ho cominciato a fare ricerche, ho incontrato la moglie di Maglio, Maria Stella Calà, e ho capito che valeva davvero la pena di farne un film".
Siamo alla fine degli anni Cinquanta, la guerra è solo un ricordo, c’è ottimismo nell’aria. Le donne lavorano e guidano l’automobile, il boom edilizio sembra promettere tempi migliori per tutti, i giovani sognano un futuro brillante. Non ci sono più i combattimenti sul fronte a minare la loro integrità, eppure c’è un pericolo che miete tante vittime quante una guerra: il lavoro che allora, più di oggi, fa ogni giorno morti e feriti. Antonio Maglio è un dirigente dell’Inail, lavora in ufficio, smaltisce pratiche e burocrazia, anche questo significa aiutare gli infortunati sul lavoro e le loro famiglie. Ma crede anche che il primo dovere del medico sia quello di stare accanto al paziente, per curarlo e, se possibile, per aiutarlo a ricominciare. Così nel film, come nella storia reale, i veri protagonisti sono i tanti ragazzi che, in quegli anni, persero l’uso delle gambe per via di un incidente e ritrovarono il gusto della vita grazie all’attività sportiva. Una pratica forse scontata oggi, ma non certo ai tempi in cui Antonio Maglio inaugurava “Villa Marina”, quando realizzare un campo di basket nel cortile di un centro per persone paraplegiche doveva apparire un comportamento quanto meno eccentrico.
Una scena del film “A Muso duro”. In piedi Flavio Insinna nei panni di Antonio Maglio e Claudia Vismara (Stella)
"Abbiamo cercato di essere molto attenti alla ricostruzione storica, pur concedendoci piccole libertà drammaturgiche", spiega Pontecorvo. "Per esempio la futura moglie, Stella, arriva un po’ più tardi nella storia reale. Ma tutti i protagonisti sono ispirati a uomini e donne realmente esistiti. La costruzione dei personaggi si basa soprattutto sulle conversazioni che abbiamo avuto con la vedova Maglio e sulla documentazione storica disponibile. E poi ci sono stati gli incontri con gli atleti, qualcuno dei quali è ancora in vita, e quello, molto importante, con uno dei fisioterapisti del Centro. Abbiamo raccolto quante più testimonianze possibile, sia da parte di chi aveva vissuto l’inizio di quell’esperienza, sia di quelli che avevano conosciuto Maglio più avanti negli anni".
E anche nel film, come nella storia vera, il Centro Paraplegici di Ostia diventa un crocevia di storie, dove il dramma si intreccia sempre con la speranza. Perché, se con l’infortunio una porta si è chiusa, un’altra nuova se ne può aprire. Anzi tante, visto che lo sport non è solo allenamento e risultato, ma anche il punto di partenza per il recupero di una molteplicità di dimensioni: il desiderio, il lavoro, l’amore, la ricerca del proprio posto nella società. È solo l’inizio di un percorso, insomma, in cui le storie personali vanno di pari passo con la storia della riabilitazione, dello sport, dell’inclusione delle persone disabili nel nostro Paese.
"Per Maglio l’antagonista principale era la società con la sua difficoltà di vedere riconosciuto il valore dello sport per le persone disabili, ma c’è un lungo percorso, fatto anche di rapporti con la politica, che nel film era impossibile riprodurre. Per cui abbiamo sintetizzato la figura dell’antagonista in due personaggi diversi: un uomo d’affari, che rappresenta le difficoltà economiche e politiche affrontate da Maglio, e il padre di uno dei ragazzi, che impersona le resistenze di una società che preferisce nascondere le persone con disabilità".
Sessant’anni dopo, le intuizioni del dottor Maglio in campo sociale e riabilitativo sono ancora di straordinaria attualità. Il movimento paralimpico ha conquistato visibilità e risultati sportivi inimmaginabili anche soltanto alcuni anni fa, eppure il percorso per la piena inclusione delle persone con disabilità è ancora lungo.
"Ha fatto un lavoro di fondamentale importanza in termini di integrazione delle persone con disabilità - conclude Pontecorvo -. Il dottor Maglio ha fatto la sua parte, ma c’è ancora tanto da fare".