"Basta con il fantautismo". Nicoletti spazza via i luoghi comuni
Chiara Ludovisi e Gianluca Nicoletti. Foto: Roberto Sollini
Chiara Ludovisi e Gianluca Nicoletti. Foto: Roberto Sollini |
CAPODARCO DI FERMO – Gianluca Nicoletti, stamattina a Capodarco, ha raccontato l’autismo: quello vero, quello che ogni giorno vivono le famiglie, quello che condanna agli “arresti domiciliari” tanti genitori. Lo ha raccontato come padre, più che come giornalista, con suo figlio Tommy seduto accanto, a tracciare su un foglio “folli disegni – ha detto Nicoletti – che qualcuno sarebbe pronto a definire geniali o profetici”. Perché questo è il primo luogo comune nella "non cultura sull’autismo”: che ogni autistico sia un “genio incompreso”, o un “profeta”. Mentre l’autismo, “anzi gli autismi - ha precisato Nicoletti - sono tutt’altro: c’è quello ad alto o basso funzionamento, c’è l’Asperger di chi, forse, riesce in effetti anche a scrivere libri, o a laurearsi”: ma da un ragazzo autistico in carne e ossa, come Tommy, “posso aspettarmi forse che riesca ad allacciarsi le scarpe: e sarà per me un grande risultato. Ma non potrei lasciarlo uscire da solo neanche qui fuori”.
Gianluca Nicoletti con il figlio Tommy |
L’autismo, quello vero, quello che normalmente viene “rimosso” dalle pagine dei giornali, è quello raccontato nel video “Un’e-mail per Laura”, che ha accompagnato, questa mattina, il racconto sull’autismo a Capodarco: un video che porta dentro la casa di una mamma ormai non più giovane, Rosemary, che vive sola con il suo “ragazzone” autistico e questo sacrifica tutta la sua vita. Lo fa con amore e dedizione, ma intanto sogna di riprendersi in mano la sua esistenza: “io esisto!”, grida battendo i pugni sul tavolo. “E’ questa la realtà che nessuno mostra e che pochi conoscono – ha detto Nicoletti – Quella di una madre, di tante madri, che guidano l’auto con il figlio accanto, rischiando la vita perché quel ragazzo, da un momento all’altro, può agitarsi, afferrare lo sterzo e provocare un incidente: come è accaduto, fortunatamente senza conseguenze, anche a Tommy”.
Il secondo “luogo comune” con cui Nicoletti si è confrontato stamattina è quello per cui “siamo tutti un po’ autistici”. Segno evidente del fatto “che l’autismo ancora attende che gli si dia dignità lessicale. - ha detto Nicoletti - Nessuno ormai si sognerebbe di usare con leggerezza il termine ‘mongoloide’, merito soprattutto del lavoro fatto da alcune associazioni. Di autismo, invece, si parla ancora con leggerezza e fuori contesto: come è accaduto a Mineo, quando recentemente ha definito Renzi un ragazzino autistico: ho dovuto farglielo pesare, perché per noi famiglie è stato molto offensivo. Certo, ciascuno di noi ha delle caratteristiche che potrebbero definirsi ‘autistiche’: io, per esempio, non amo fissare il mio sguardo negli occhi di chi mi parla: ma non per questo posso considerarmi autistico. L’autismo è una cosa seria”.
Così come non è autistico “chiunque non sappia parlare: autismo e mutismo non corrispondono, come qualcuno pretenderebbe”, ha detto Nicoletti, commentando il terzo “luogo comune”. “E per questo non possono funzionare quelle tecniche ‘facilitatrici’ per cui basta offrire un computer e un assistente a un ragazzo autistico, per trasformarlo in uno scienziato, uno scrittore, un genio”.
Da questa “sottovalutazione” dell’autismo, derivano conseguenze non solo culturali, ma anche molto pratiche: “l’autistico deambula, quindi non ha diritto a indennità e parcheggi riservati” è il luogo comune che esprime emblematicamente questo malinteso. “Dobbiamo continuamente dimostrare di avere un problema – ha riferito Nicoletti – perché Tommy, come tutti i suoi colleghi autistici, non mostra segni evidenti della sua disabilità. Accade spesso che ci dicano ‘vergogna’ quando parcheggiamo in un posto riservato. E anche le visite di accertamento sono una fatica. Non riconoscere la disabilità dell’autismo significa non riconoscere la fatica di queste famiglie e negarne i diritti”.
Accanto alla sottovalutazione dell’autismo, c’è la sua “demonizzazione”, contenuta in un altro luogo comune: “l’autistico è pericoloso”. Fa notizia, infatti, “il bambino autistico che lancia la sorellina dalla finestra, come pure lo stragista statunitense che forse - è stato scritto - aveva una forma di autismo. Ma non è così: l’autistico non ha un’indole omicida, non è un potenziale killer. L’autistico ha delle crisi aggressive, quando entra in ansia: io stesso ho avuto con Tommy pesanti confronti fisici, in passato, che a lui sono serviti per riconoscere la figura paterna, in modo quasi tribale. Ma quando viene accompagnato, rassicurato, sostenuto in maniera opportuna, Tommy è un ragazzo tranquillo, capace di stare qui a disegnare, accanto a me, in mezzo a tanta gente. Anche se sul foglio sta scrivendo ripetutamente ‘Roma’, perché è lì che vorrebbe tornare in questo momento, per ritrovare i suoi fondamentali punti di riferimento”.
Forse, però, “l’autismo non è una cosa così seria le famiglie esagerano”, dice un altro luogo comune. “Per me è difficile dirlo, visto che ci sto dentro – ha commentato Nicoletti – ma non credo che esageriamo. Un figlio autistico è come un vampiro, che ti succhia il sangue. L’aspetto positivo di questo è che, così facendo, ti regala anche l’immortalità, cioè la resistenza alla fatica, la capacità di restare in forma fino alla fine, seppure col pensiero angoscioso di cosa sarà di lui quando tu non ci sarai più”.
Il racconto di Nicoletti sull’autismo si è quindi concluso con la “smentita” degli ultimi tre luoghi comuni: “L’autismo è una malattia “rara”, “E’impossibile capire un autistico. E aiutarlo” e “Dall’autismo si può guarire, tra santoni e terapie sciamaniche”. Non è una malattia rara, “perché gli autistici sono tanti, sempre di più, grazie credo al raffinamento degli strumenti diagnostici. E le famiglie si organizzano e chiedono con forza spazi e cittadinanza”. E non è vero che sia impossibile capire e aiutare un ragazzo autistico, “ci sono metodi molto efficaci e i percorsi formativi non mancano: peccato però che ciò che il servizio sanitario offre sia del tutto inutile, mentre la formazione specialistica, quella vera, è a carico di chi vuole imparare”. Il consiglio, per tutte le famiglie, di “non spendere soldi e tempo con sciamani e terapie bizzarre, ma di andare alla ricerca di chi ha studiato, pretendendo per i propri figli l’assistenza adeguata. E la professionalità dichi sa come aiutarli”. (cl)