3 marzo 2016 ore: 14:34
Giustizia

"Ciak in carcere": così i detenuti imparano a fare cinema

Tra entusiasmo e amarezza, i reclusi dell’istituto penitenziario di Bologna alle prese con il laboratorio raccontano le loro impressioni. A maggio realizzeranno il video finale e parteciperanno come giurati al festival "Cinevasioni"
Cinevasioni 1
BOLOGNA – “Nel carcere si parla molto di questo corso. In tanti, però, non si rendono conto di cosa effettivamente sia. Qualcuno ci prende in giro, dice ‘Voi siete quelli del cinema’, come se fosse solo un gioco, un divertimento. Ma poi, se anche fosse, che male ci sarebbe? Nessuno, credo, considerato dove siamo”. A parlare è un detenuto della Dozza di Bologna, uno dei partecipanti di Ciak in Carcere, il laboratorio di cinema partito a ottobre organizzato dall’Associazione Documentaristi dell’Emilia-Romagna. “Questo corso mi piace particolarmente – continua –. Perché di solito i corsi sono di basso profilo culturale, poco formativi, anche noiosi. Chi ha passato molti anni qui dentro ormai li conosce e c’ha fatto l’abitudine. Questo è diverso”. 

 

A Ciak in Carcere partecipano una ventina di detenuti: un gruppo misto, di tutte le età e le categorie sociali, di paesi diversi, “italiani e veneti”, precisa qualcuno, pronto a rivendicare le proprie origini nella “Repubblica Marinara di Venezia”. C’è chi ha due lauree e chi l’università l’ha iniziata quest’anno. Chi ha figli e nipoti, chi pensa che quando uscirà “comunque tanta vita davanti è difficile immaginarla”. In questi giorni sta cominciando il secondo quadrimestre, e si avvicinano le due date più attese: il video finale del corso e l’attività da giurati del Festival Cinevasioni, organizzato in Dozza dal 9 al 14 maggio. Infatti saranno gli stessi partecipanti al laboratorio a giudicare i film in concorso e ad assegnare il primo premio. Il presidente della giuria, un nome noto del cinema italiano, è già stato scelto, ma è tenuto ancora riservato. Riservati anche i nomi degli artigiani incaricati di creare il premio. 

Cinevasioni 2

“Sono felice di come sta andando il corso: per noi è una novità, e impariamo qualcosa che non conosciamo. Viviamo le lezioni in maniera assolutamente positiva: sono momenti unici nella giornata, durante la quale di solito non abbiamo niente da fare”. D’accordo con lui un altro detenuto, al primo anno del Dams: “Questo corso mi aiuta molto, perché gli studi universitari sono soprattutto teorici, mentre qui ho appreso come concretamente nasce un film. È una cosa che i libri non ti possono dare”. 

Tanti partecipanti raccontano di come, da quando è cominciato il laboratorio, sia cambiato il loro modo di guardare un film: ora notano particolari mai visti e dettagli tecnici, capiscono la sceneggiatura e intuiscono i passaggi del copione. “Questo corso io l’ho preso come un film inedito – spiega un detenuto –, perché in fondo anche il carcere è un grande film, purtroppo reale. La cosa che mi ha colpito di più è scoprire quante persone ci sono dietro alla produzione di un film. È un grande lavoro di squadra: esattamente il contrario di quanto accade qui”. 

“Presto interpreteremo un video che probabilmente sarà visto anche fuori dal carcere – racconta un altro partecipante –, e non ci vergogniamo, anzi. Forse qualcuno comincerà a vederci non solo come detenuti. Spero possa servire a far capire alle istituzioni che in carcere c’è bisogno di corsi più qualificanti. Qui dentro ci sono persone che non sono mostri, ma che hanno commesso un reato e stanno espiando una pena. Purtroppo, troppo spesso, una volta fuori riceviamo solo porte in faccia: perché questa è un’etichetta che ti resta attaccata tutta la vita”. Amara conclusione a cui arriva anche un altro detenuto: “Quando sono uscito dal carcere mi hanno detto che sarebbe stato un grosso problema per me trovare un lavoro, perché io qui ho ottenuto due lauree. Ho assicurato che mi sarebbe andato bene anche pulire i bagni, ma mi hanno ribadito che avrebbero dovuto trovare un lavoro adeguato alle mie conoscenze, e questo sarebbe stato quasi impossibile. In effetti è stato così, infatti sono tornato dentro. Quando oggi uno esce dal carcere l’unico vero mestiere che ha imparato è tornare a commettere il reato che sa fare. Ho conosciuto molti ragazzi che sono entrati a 18 anni per un furtarello, poi a 19 hanno commesso una rapina, poi reati sempre  più gravi. Il carcere è la fabbrica della recidiva”. 

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