“Deaf U”, la docuserie americana che spiega la sordità
I protagonisti di Deaf U
ROMA - Cos’hanno in comune Rodney, Alexa, Cheyenna, Dalton, Renate e Daequan oltre a essere simpatici e nel fiore degli anni? Sono tutti studenti alla Gallaudet University, un celebre college privato per sordi e ipoudenti, che ha sede a Washington DC. Prodotta dall’attivista, modello e attore sordo Nyle DiMarco, “Deaf U”, la serie dallo scorso ottobre su Netlix, è stata scritta e portata avanti da un team di lavoro costituito da un’alta percentuale di persone sorde. In otto episodi il documentario ripercorre le vicissitudini di questo piccolo gruppo di studenti sordi o ipoudenti all’interno di una comunità a maglie talmente strette che, se decidi di evitare qualcuno, non sai più dove andare. E così allo stesso tavolo di un locale notturno si trovano spesso sedute, una accanto all’altra, persone che in passato hanno avuto flirt e relazioni più o meno coinvolgenti.
Perché “Deaf U” è soprattutto questo: la storia di un gruppo di giovani che si apprestano a entrare nell’età adulta piuttosto che una trattazione sulla sordità. Perciò largo ai flirt, le relazioni, le amicizie e gli amori che, in maniera fluida, avvicinano e allontanano i membri del gruppo. Ma è anche una riflessione sull’identità delle persone sorde e sulla loro “cultura”, che negli Stati Uniti appare estremamente sfaccettata e tutt’altro che univoca. E che nei giovani assume talvolta la forma dell’insofferenza nei confronti di quelle élite sorde, costituite da famiglie di non udenti da cinque o sei generazioni che creano sì comunità, ma rischiano al tempo stesso di accentuare il senso d’isolamento. (A.P.)
(La recensione è tratta dal numero di SuperAbile INAIL di febbraio, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)