"Dove bisogna stare": l’Italia migliore ha il volto di 4 donne che aiutano i migranti
BOX ROMA - Quando Lorena, una bellissima anziana signora, scavalca per l’ennesima volta un cancello per testare il sentiero, non si può non sorridere. La sua tenacia è quella di chi crede che battersi per una giusta causa sia ancora possibile, anzi doveroso. Ha rinunciato a una vita da pensionata, per dedicarsi agli altri, ai migranti provenienti dalla rotta balcanica, che vivono in condizioni estreme nei boschi vicino Pordenone. “Appena posso vi porto magliette, pantaloni” dice, mentre suo marito spiega loro che in caso di necessità di cure è un diritto andare al pronto soccorso, anche se si è sprovvisti di un documento di soggiorno. Insieme a Elena, Giorgia e Jessica, Lorena rappresenta il volto dell’Italia migliore, quella che cura, accoglie e aiuta chi è in difficoltà nelle zone di confine. Sono queste quattro donne le protagoniste dell’ultimo film di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli, “Dove bisogna stare”.
La pellicola, realizzata in collaborazione con Medici senza frontiere e prodotto da ZaLab, è un viaggio tra i luoghi dell’esclusione, alla ricerca di chi cerca di porvi rimedio, attraverso l’attivismo dal basso. E così c’è Giorgia a Como, dopo il blocco delle frontiere nell’estate del 2016, ha abbandonato il suo lavoro da segretaria per aiutare chi arriva nella città a trovare una sistemazione. Elena, in Val Di Susa, si occupa invece di chi tenta di attraversare le Alpi per raggiungere la Francia, mettendo a rischio anche la propria vita. Come è successo a un ragazzo che ospita in casa, e ha rischiato l’amputazione dei piedi dopo aver camminato una notte scalzo sulle montagne, tra la neve. Infine Jessica a Cosenza, che gestisce il Rialz, un’occupazione dove vivono sia italiani che stranieri.
“In Italia oltre 10.000 migranti in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali e miseria, vivono senza un tetto sulla testa e con gravi difficoltà di accesso al cibo, all’acqua e alle cure mediche essenziali. Queste persone sono escluse dai centri di accoglienza finanziati dallo Stato. Per loro l’unica solidarietà arriva da italiani di tutte le età e di tutte le provenienze geografiche disposti anche a confrontarsi con l’atteggiamento sempre più ostile delle istituzioni” recita il primo pannello che appare nel film. La stima è di Medici senza frontiere, che dal 2015 monitora gli insediamenti informali in Italia, dalle baraccopoli ai veri e propri ghetti, che nascono spesso in periferia. “In questi anni abbiamo mappato la condizione delle persone fuori accoglienza a livello nazionale e ci siamo spesso trovati davanti a situazione al limite, che non pensavamo potessero esistere in Italia - spiega Giuseppe De Mola, curatore di Fuoricampo -. L’unica nota positiva è la presenza di tante persone, soprattutto donne, che a titolo gratuito e in forma spontanea, fanno di tutto per assistere queste persone. Per questo abbiamo pensato di restituire visibilità e valore a questi attivisti, che mostrano un’Italia migliore”.
Le riprese del film si sono concluse nella primavera scorso, “da allora la situazione è peggiorata” spiega il regista, Daniele Gaglianone. “Il nostro è un film vitale, un film non su di loro ma su di noi, sulla nostra capacità di confrontarci con il mondo e di condividerne il destino - sottolinea -. Ma dalla primavera a oggi le cose sono andate via via peggiorando, non c’è più neanche quella fioca lampadina di speranza che vedevamo in lontananza”. Dopo le anteprime dei giorni scorsi a Roma e Torino, il film sarà nelle sale di tutta Italia. (ec)