10 dicembre 2015 ore: 16:54
Famiglia

“Giovani in lista d’attesa”, laureati, con un lavoro ma dipendenti dalla famiglia

Sono più istruiti dei genitori, da cui però continuano a dipendere. Non si sentono bamboccioni, vorrebbero andarsene dall’Italia ma sono poco ambiziosi. Sono i giovani tra i 18 e 34 anni secondo la ricerca “Le giovani generazioni e il lavoro a Bologna” della Fondazione Gramsci Emilia-Romagna
Laureato di profilo e in penombra

BOLOGNA – La maggior parte ha una laurea. Poco più della metà ha un lavoro. Quattro su 10 dipendono dalla famiglia di origine per le spese ordinarie, il 10 per cento vive in casa con i genitori e riceve aiuti anche per quelle superflue. Rispetto al futuro lavorativo la maggior parte non ha una preferenza, si adatta alle occasioni che incontra e propende per un lavoro da dipendente. Sono alcuni dei risultati della ricerca “Le giovani generazioni e il lavoro a Bologna: realtà e aspettative”, promossa dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna e realizzata dal gruppo coordinato da Matilde Callari Galli e Davide Conte, presentati nel seminario “Giovani in lista d’attesa. Giovani e lavoro: due ricerche a confronto” che si è tenuto a Bologna il 10 dicembre.

La ricerca ha coinvolto circa mille giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni (sono circa 70 mila quelli che vivono in città), di cui 43 hanno partecipato a focus group e interviste in profondità. Obiettivo della ricerca? Come spiega Callari Galli: “Disegnare dai dati raccolti un quadro utile per innestare su questa conoscenza pratiche e politiche di intervento finalizzate a risolvere problemi vissuti nel quotidiano dai giovani bolognesi”. Dall’indagine emerge che i giovani si definiscono arrabbiati con la politica, desiderosi di scappare dall’Italia, rifiutano la definizione di ‘bamboccioni’ ma non si ritengono nemmeno ‘ambiziosi’. Alla domanda su che cosa darà loro soddisfazione tra 10 anni rispondono con certezza le relazioni amicali e familiari, mentre sono meno fiduciosi di trovarla nella disponibilità economica, nel lavoro o nel godimento di diritti civili e sociali. 

L’80 per cento dei giovani coinvolti è celibe/nubile, quasi 2 su 10 sono sposati e poco più del 18 per cento ha un figlio. Il 35 per cento ha un diploma di maturità, quasi 4 su 10 hanno una laurea (triennale o specialistica) e poco più del 10 per cento ha un titolo post laurea. Dalla ricerca emerge quindi che in media questa generazione ha un livello di scolarizzazione più alto rispetto alla famiglia di origine. Il 54 per cento dei giovani coinvolti ha un lavoro, il 25,8% studia e circa il 9 per cento studia e lavora. La percentuale di coloro che non studiano né lavorano è dell’11,3 per cento, tra questi il 71,4% sta cercando un’occupazione. Tra coloro che lavorano quasi la metà ha un lavoro dipendente a tempo indeterminato, gli autonomi e gli imprenditori sono sotto il 2 per cento.

Oltre la metà dei giovani sono soddisfatti del proprio lavoro, il 55% non ha mai cambiato occupazione negli ultimi tre anni, il 7,7% lo ha fatto quattro volte o più. L’indagine evidenzia che più elevato è lo stato sociale della famiglia di origine, meno i giovani danno importanza al diventare autonomi economicamente, trovare lavoro, sposarsi e avere figli. Sempre al crescere dello status sociale delle famiglie i giovani sono meno preoccupati che lo Stato non li aiuti, delle difficoltà di avere un figlio e dall’impossibilità di crearsi le giuste competenze. Nel tempo libero la maggior parte (84,3%) esce con gli amici, si dedica a musica (81,3%), social network (73,2%) e lettura (66,7%). Percentuali più basse ottengono teatro (12,6%), volontariato (15,7%), videogame (21,2%) e mostre e convegni (26,7%). Le cause della crisi secondo i partecipanti vanno cercate nella corruzione, nella politica, nell’evasione fiscale e nell’illegalità, ma anche nella globalizzazione (58,9%), nel nostro stile di vita (57,6%), nell’euro (37,2%) e nell’eccessiva presenza di stranieri (32,9%). 

Oltre alla presentazione del profilo generale dei giovani emerso dal’indagine, durante l’incontro ci si è concentrati su due temi specifci: le differenze di genere e l’influenza del grado di istruzione. Tra i partecipanti le donne sono il 51,6 per cento, tra queste il 22,7% ha figli (contro il 14,2% degli uomini). La percentuale è più alta tra le straniere (45,5%). Il 55% delle partecipanti ha un lavoro (il 52,5% degli uomini), il 26,8% è anche madre. Tra le 12 donne che non studiano né lavorano, 8 hanno figli. Le donne con figli sono meno soddisfatte della loro situazione lavorativa rispetto alle donne che non hanno figli e agli uomini. Le donne sono anche più preoccupate degli uomini di perdere il lavoro, hanno una maggiore percezione della povertà come rinuncia alle proprie aspirazioni e incapacità di soddisfare i propri bisogni primari. Rispetto alla situazione attuale, le donne considerano avere un figlio un ostacolo alla realizzazione delle proprie aspirazioni e ritengono che vi siano differenti opportunità tra uomini e donne. Per migliorare le prospettive future, servirebbero i sostegni pubblici alla genitorialità secondo il 69% delle madri (contro il 31,6% delle donne senza figli e il 35,3% dei padri) e una maggiore meritocrazia per il 65,4 delle donne, il 61,9% degli uomini e percentuali superiori al 55% di madri e padri. Dal punto di vista dell’istruzione, dalla ricerca emerge che gli italiani sono più istruiti degli stranieri, che i giovani italiani figli di stranieri non sono pienamente integrati, i giovani sono più istruiti della famiglia di origine, anche se per una parte significativa il loro livello di istruzione dipende da quello dei genitori.

I giovani che hanno studiato hanno lavori più coerenti con il loro percorso di formazione ma sono meno soddisfatti per guadagni, stabilità e possibilità di vivere nella propria città. Molti giovani lavoratori sono economicamente dipendenti dalla famiglia di origine e a essere più dipendenti sono le persone più istruite. Il lavoro dipendente è più ambito da chi ha un titolo di studio alto e da chi già lavora, mentre il lavoro autonomo è preferito da chi un livello medio/alto e dagli studenti, tra i meno istruiti c’è più indifferenza rispetto al tema e più incertezza. Al crescere del livello di istruzione cala la tendenza a indicare come cause della crisi l’euro, gli stranieri, la delinquenza comune e cresce quella a indicare l’evasione fiscale. Rispetto alla realizzazione delle proprie aspirazioni, chi ha studiato meno tende a colpevolizzare lo Stato o a chiedere aiuti a esso e riconosce di essere ostacolato dalla mancanza di competenze; chi ha studiato di più, dichiara che sarebbe aiutato da una società più meritocratica e dal cambiare città o Stato. (lp)

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