“Horse boy”: il viaggio di un bambino autistico in Mongolia, in cerca di una “cura”
ROMA – E’ stato scelto il 2 aprile, Giornata mondiale sull’autismo, per l’uscita nelle sale del film “Horse boy. L’amore di un padre”, del regista statunitense Michel Orion Scott. Ancora un viaggio al centro di un film (come nel caso di “The special need” dell’italiano Carlo Zoratti) che ha come motivo dominante la disabilità: quasi il simbolo di un percorso a ostacoli, quello che le disabilità impongono, ma anche metafora della ricerca di libertà dai pregiudizi, dai limiti imposti da un assetto sociale che rischia di asfissiare le persone, specialmente quelle con bisogni speciali, e poco incline all’integrazione.
In 93 minuti “Horse boy” racconta il viaggio compiuto da Rupert Isaacson e Kristin Neff, i genitori del piccolo Rowan, per curare il figlio. Scott segue la coppia texana e suo figlio che nell’estate del 2007, per un mese, hanno attraversato a dorso di cavallo la Mongolia alla ricerca di un gruppo di sciamani, nella speranza che i loro riti e il contatto con la natura potessero aiutare Rowan a guarire da quella che oggi è una delle malattie più diffuse al mondo (nei soli Stati Uniti si stima che i casi potrebbero superare i 4 milioni nel prossimo decennio).
boxQuando all’età di due anni, nel 2004, a Rowan viene diagnostico l’autismo, Ruper Isaacson scrittore ed ex allenatore di cavalli e sua moglie professoressa di psicologia iniziano a cercare la miglior cura possibile per il loro bambino, ma nessuna terapia ha effetto. Capiscono un giorno che il figlio, che ma mano si è chiuso in se stesso e non parla, agita le mani e urla senza un motivo apparente, ha un’affinità e una capacità di empatia con gli animali, in particolare coi cavalli. Da qui la decisione della famiglia di intraprendere il viaggio. Inizialmente la moglie Kristin rifiuta, scettica, l'idea del marito di recarsi fin là, poi si lascia convincere. Raggiungono la capitale della Mongolia e poi proseguono a cavallo, carichi di bagagli, salviette usa e getta, pantaloni di ricambio, giocattoli; accompagnati da una troupe cinematografica, un pulmino, una cuoca, delle guide e alcuni traduttori, spostandosi da un guaritore all'altro e arrivando, dopo aver attraversato tutta la steppa, fino all'estremo nord, nel territorio del Popolo delle Renne, nella parte mongola della Siberia, a più di 3 mila metri di altitudine. Molti i riti a cui il bambino è stato sottoposto, nei vari gruppi di sciamani incontrati. Intenso, soprattutto, il contatto con una natura sovrastante, autentica, in grado di restituire tempi e modi di vita diversi dalle città. Rowan, come lo stesso Rupert ha ammesso, dopo il viaggio in Mongolia non è guarito, è migliorato. Ha perso i tratti più violenti della sua condizione, sa controllare di più gli sfinteri ed è capace di rilassarsi, a contatto con la cavalla Betsy, anche per due ore cavalcandola da solo. È ancora autistico sebbene sia stato liberato dagli aspetti più negativi: la sua essenza non cambierà mai e non è nemmeno questo che i genitori vogliono.
Horse Boy è dunque il racconto di una "cura" cercata nel rapporto con gli animali e con la natura, fino in capo al mondo, tra le steppe dell'Asia: un racconto che, attraverso l'avventura straordinaria di una famiglia, dà voce alle migliaia di genitori che con coraggio e fantasia affrontano ogni giorno la battaglia contro una malattia misteriosa. Dimostrando come, anche nei momenti più bui, si può aprire la porta alla gioia e alla meraviglia. Il film, nelle sale da mercoledì, è distribuito da Feltrinelli Real Cinema. (ep)