3 aprile 2016 ore: 14:50
Società

"Il volto dell’altro", viaggio via terra per raccontare un'umanità dimenticata

Dall’Italia fino in Vietnam e ritorno, un lungo viaggio via terra del fotografo fanese Matthias Canapini per raccontare a grandi e bambini, attraverso immagini, appunti e resoconti audio "Il volto dell’altro" e ridare un nome a tutta quell'umanità spesso dimenticata che vive ai margini delle nostre esistenze
Matthias Canapini Il volto dell'altro 1

Daw Moe Phout, 90 anni. Ultima donna di etnia Paduang (donne giraffa) del villaggio di East Ka Phu, situato nell’est della Birmania. Moe vive da anni nella sua capanna distillando giornalmente whiskey locale. Foto: Matthias Canapini

Birmania, di fronte la pagoda "Maha Wizara" a Yangon, padre e figlio giocano sotto la pioggia. Foto: Matthias Canapini
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Dall’Italia fino in Vietnam e ritorno, un lungo viaggio via terra, fatto di innumerevoli passi e di km macinati in treni e autobus, per raccontare a grandi e bambini, attraverso immagini, parole e resoconti audio “Il volto dell’altro”. È questo il progetto nato nel mese di marzo del 2015 da un’idea di Matthias Canapini, giovane fotografo e scrittore fanese che quando può “viaggia qua e là in Italia e nel mondo, con macchina fotografica e quaderno degli appunti”, nei suoi vagabondaggi grazie all’aiuto di associazioni locali e internazionali incontrate durante il cammino (ActionAid, Parada Italia onlus, Aibi, le associazioni Apopo e Kharkiv Station), ha potuto documentare tantissime realtà: dalle mine antiuomo in Bosnia ai campi sfollati in Siria; dalle proteste di Gezi Park in Turchia al mondo delle adozioni in Kosovo. Ventiquattro anni, idee chiare e una spiccata sensibilità verso le tematiche sociali, Canapini non solo viaggia, nel frattempo racconta, allestendo mostre, partecipando a conferenze, scrivendo libri. 

Vietnam, ospedale civile "il villaggio della pace. Un giovane vittima dell’agente arancio, diossina chimica lanciata dall'esercito statunitense. Foto: Matthias Canapini
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“Il volto dell’altro” è un viaggio iniziato il 10 giugno 2015: “ho attraversato i Balcani e l’Est Europa, raccontando Srebrenica e i ragazzi di strada a Bucarest - racconta Canapini - nel cui sottosuolo, tra lo sporco ed il buio delle fogne, vivono bambini, uomini, donne e anziani. Poi l’Ucraina e le tristi storie degli sfollati che ogni giorno continuano a scappare dal Donbass. La Russia a bordo della Transiberiana, la Cina da nord a sud”. Ad Hanoi in Vietnam, il fotografo raccoglie le testimonianze sugli effetti, tuttora ben visibili, dell’agente arancio, diossina altamente chimica lanciata dall'esercito statunitense durante il conflitto. In Cambogia, incontra il dramma delle mine antiuomo; in Thailandia visita il Centro “fabbricazione protesi” vicino la città di Chang Mai, costruito per dar supporto alle migliaia di vittime lungo i confini del paese. Raggiunge, sempre via terra il Nepal, dove racconta il post terremoto. “Ho tagliato metà mondo in aereo per tornare di corsa in Europa e realizzare l’ultimo lavoro di questo lungo progetto collettivo – prosegue - un reportage che racconta il dramma dei migranti in fuga da guerre e persecuzioni lungo le vene dei Balcani, a due passi da casa nostra”.

Daw Moe Phout, 90 anni. Ultima donna di etnia Paduang (donne giraffa). Foto: Matthias Canapini
Il volto dell'altro 1

La novantenne Moe Phout ultima donna di etnia Paduang (donne giraffa) del villaggio di East Ka Phu, situato nell’est della Birmania, che vive da anni nella sua capanna distillando giornalmente whiskey locale; l’ottantottenne Daw Shive That di etnia Pa Oh che una volta a settimana si reca al mercato popolare del villaggio di Kalaw per vendere radici e rimedi naturali fatti in casa; il vecchio veterano Oey Sam Nang che ha perso una gamba in seguito allo scoppio di una mina antiuomo, immortalato nelle campagne sperdute nel nord della Cambogia e ancora Indra Laxmi mentre benedice la propria casa in Nepal distrutta pesantemente dalle forti scosse. Sono alcuni dei volti catturati dall’obiettivo che per il fotografo è “un piccolo modo per spingersi oltre, raccontare storie e ridare un nome ed un volto a tutta quell'umanità spesso dimenticata, ferita, traumatizzata che vive ai margini delle nostre esistenze”. 

Birmania, Daw Shive That, 88 anni vende radici e rimedi naturali fatti in casa. Foto: Matthias Canapini
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Il progetto è stato realizzato quasi esclusivamente grazie all'aiuto di sponsor, amici, conoscenti e media locali, i quali lo hanno sostenuto “economicamente ed umanamente”. Tutte queste storie saranno raccolte all'interno di un libro, che tenterà di contenere anche “sensazioni, atmosfere, attimi, nomi, situazioni”. Confida Canapini: “faccio questo perché credo che dietro i numeri, le percentuali e le statistiche che ogni giorno sentiamo, ci siano sempre persone esattamente come noi. Credo anche, malgrado tutto, che sia molto importante continuare a raccontare l’umanità. Soprattutto in tempi difficili come quelli in cui viviamo”. (slup)

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