“Io mediatore sulle navi da soccorso, così evito che i barconi si ribaltino”
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ROMA – Nell’ultimo naufragio di ieri hanno perso la vita sette persone: un barcone con a bordo circa 600 persone si è rovesciato a largo delle coste libiche. A causare il ribaltamento (come mostrano le immagini della Marina militare) è stato lo spostamento da un lato di gran parte dei migranti, che si sporgevano per chiedere aiuto. Una dinamica comune a molti altri naufragi registrati in questi anni. Ma come si può evitare che questo accada? Ahamd Al Rousan, italiano di origine giordana, è il coordinatore dei mediatori culturali di Medici senza frontiere. Per anni ha lavorato nei luoghi di sbarco e, parlando coi sopravvissuti alle tanti stragi del Mediterraneo, ha capito che per prima cosa bisogna intervenire con un progetto di mediazione sulle imbarcazioni da soccorso. Un’idea che per primo sta sperimentando sulle navi di Medici senza frontiere (Dignity, Bourbon Argos e Aquarius) che dall’inizio dell’anno hanno salvato oltre 2000 persone. E che consiste in un protocollo preciso, fatto di semplici messaggi, da lanciare ai naufraghi per farli stare tranquilli ed evitare che le imbarcazioni si rovescino.
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“State calmi e non muovetevi, vi portiamo in Italia in sicurezza”. Ahmad lavora per Medici senza frontiere da 5 anni, ma la sua esperienza di mediatore è ventennale. Negli ultimi anni, prima di salire sulle navi ha lavorato nei luoghi di sbarco. Qui ha raccolto tante -testimonianze di sopravvissuti. “La dinamica delle tragedie è sempre più o meno la stessa: i migranti vedono le grandi navi in lontananza, non capiscono di che si tratta, se è una nave che li vuole salvare o rimandare indietro. Così tra loro sale il nervosissimo, le persone si ammassano da un lato per capire cosa sta succedendo e spesso accade l’irreparabile. E’ la dinamica più comune, soprattutto se durante l’operazione di soccorso i naufraghi non ricevono nessuna comunicazione”. Le navi di soccorso di solito si avvicinano molto lentamente per motivi sicurezza, in alcune fase iniziali stanno completamente ferme. Un tempo lunghissimo per chi è in difficoltà. “Si fa per evitare rischi – aggiunge- Ma questo i naufraghi non lo sanno. E magari iniziano a pensare che la nave non li salverà più. Per questo è importante comunicare sempre con loro. Spesso accade che, anche quando vengono avvicinati dai motoscafi dei soccorritori, non ci sia nessun tipo di comunicazione, anche perché non ci sono mediatori culturali a bordo– aggiunge -. In buona fede alcuni alzano la voce per far star fermi i migranti, ma questo non fa che aumentarne il nervosissimo. Molto spesso queste sono le fasi più pericolose”.
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Cosa prevede, invece, il protocollo di Ahmad? Se le condizione del mare lo permettono la nave di Msf si avvicina al barcone in difficoltà e Ahmad inizia a parlare con un megafono alle persone. “Per prima cosa li saluto e cerco di capire che lingua parlano – spiega -. Con messaggi brevi gli dico chi siamo, cosa facciamo e li prego di stare calmi, di rimanere distribuiti bene e non fare movimenti bruschi. Di solito dico: siamo di Medici senza frontiere, siamo qui per aiutarvi, vi prego di restare calmi e non spostarvi su un lato. Non preoccupatevi vi portiamo in salvo”. La comunicazione tra la nave di soccorso e l’imbarcazione in difficoltà rimane poi costante per tutta l’operazione di salvataggio: “gli spiego passo passo cosa accade, gli dico che ci vorrà tempo e che devono avere pazienza, ma che andrà tutto bene. Soprattutto gli dico di non alzarsi o muoversi perché la barca si potrebbe rovesciare”. Piano piano Ahmad comincia anche a chiedere informazioni: se ci sono bambini, donne e persone in particolare difficoltà. “Nel caso dei pescherecci chiedo sempre se ci sono delle persone sotto, nella stiva. Purtroppo è sempre più frequente trovare migranti ammassati lì, morti per asfissia”. Se la nave di Msf non riesce ad avvicinarsi, invece, Ahmad scende con un piccolo gommone per farsi vedere: “Facciamo un giro intorno al barcone di 360 gradi, così che le persone non debbano sporgersi per capire chi siamo – spiega ancora il mediatore - Anche lì spiego chi siamo, che li portiamo in sicurezza in Italia”.
© Msf/Sara Creta
Tra le difficoltà dei salvataggio anche l’aumento, nell’ultimo periodo, di imbarcazioni di fortuna, caricate fino all’inverosimile, dove ogni piccolo movimento più essere fatale. “Nell’ultimo salvataggio, due giorni fa ho parlato a lungo con un ragazzo eritreo – racconta Ahmad – aveva fatto il viaggio a cavalcioni sulla sponda del gommone e mi diceva che per tutto il tempo aveva cercato di rimanere sveglio. Non dormiva da giorni ma si era fatto forza per non chiudere gli occhi. E’ arrivato completamente stremato, ma conscio che se avesse ceduto alla stanchezza non sarebbe mai arrivato vivo – aggiunge -. Mi chiedo sempre quante sono le vittime di cui non sappiamo niente, quante persone vengono ingoiate dal mare senza che nessuno se ne accorga, solo perché perdono l’equilibrio?”.
Il protocollo messo a punto da Ahmad serve ora a formare gli altri mediatori dell’organizzazione umanitaria e il personale di bordo. “Non siamo dei semplici traduttori, siamo il primo contatto tra i migranti e l’Italia. Attraverso di noi ricevono un primo segnale di comprensione e vicinanza. L’altro giorno – aggiunge – in una frase ho detto semplicemente: ‘ringraziando Dio siete salvi’ e ho visto negli occhi di queste persone accendersi una luce. ‘Grazie a Dio’ è una parola chiave in alcune culture: le persone si rendono conto che io le capisco, capisco il loro modo di pensare, entriamo in connessione e si instaura subito un rapporto di fiducia”.
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Per il suo lavoro Al Rousan ha ricevuto importanti riconoscimenti, come la cittadinanza onoraria della città di Palermo. Ma il suo risultato più importante- ci dice- è sapere che quello che fa può servire davvero a salvare la vita di qualcuno. “Qualche tempo fa ho fatto un corso di comunicazione e mediazione con i pescatori tunisini. A molti di loro era capitato di incontrare imbarcazioni di rifugiati in mezzo al mare, o di tirare su con le reti cadaveri dei naufraghi – aggiunge-. Gli ho spiegato allora cosa fare in questi casi, come lanciare l’Sos e cosa dire ai migranti. Ma quello che mi ha colpito di più è stata la loro umanità: mi hanno detto che non lascerebbero mai le persone sole in mezzo al mare. Saperlo mi ha confortato, ho capito che il mio lavoro gli sarebbe stato utile”. (Eleonora Camilli)