7 novembre 2024 ore: 15:34
Giustizia

“Io, nell’inferno di Sollicciano, salvata grazie alle bambole”

Silvia, peruviana di 56 anni, racconta l’esperienza del laboratorio terapeutico di realizzazione di pupazzi per bambini dell’associazione Pantagruel, uno dei tanti progetti di recupero per i reclusi
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FIRENZE - Silvia ha 56 anni e un passato burrascoso. Arrivata in Italia dall’estrema povertà del Perù, è finita nel carcere fiorentino di Sollicciano per maltrattamenti ai danni del marito e ai danni del proprio avvocato. Deve scontare tre anni e quattro mesi. “Sollicciano è un inferno” ripete più volte, ma il lavoro le ha conferito la forza per andare avanti. Costruisce bambole con ago, filo, stoffa, cotone, lana, pastelli e cera grazie al laboratorio messo in piedi dall’associazione Pantagruel, supportato da Fondazione CR Firenze e Diaconia Valdese. “Insieme alla gentilezza delle agenti penitenziarie, il lavoro con le bambole è stata la mia salvezza” dice Silvia (il nome è di fantasia).

“All’inizio ero impacciata, non pensavo che sarei riuscita a costruire tutti quei pupazzi, pian piano ho preso confidenza e oggi costruire bambole mi regala una gioia grandissima. È stato questo che mi ha permesso di resistere dentro il carcere”. Adesso sta scontando gli ultimi mesi di pena fuori da Sollicciano. Quasi ogni giorno viene al laboratorio di Pantagruel per realizzare le sue creazioni. Riceve uno stipendio di 400 euro al mese. “Qui mi sento davvero una persona, e non una detenuta. Prima ero chiusa in me stessa. Questo lavoro mi ha insegnato a interagire con le persone”. E ogni volta che porta a termina una bambola, è per lei un grande motivo d’orgoglio: “E’ una grande gioia, una grande soddisfazione. E se qualcuno mi dice che sono bellissime, è una bellissima sensazione che mi fa sentire davvero appagata”.

Costruire bambole per ri-costruire un essere umano: è questo il senso profondo dell’attività dell’associazione. La bambola non è solo un mero giocattolo, ma è l’immagine stessa dell’essere umano. Il laboratorio è un momento creativo e terapeutico. Le detenute creano le bambole seguendo il metodo pedagogico di Rudolf Steiner, caratterizzato da un approccio che lascia ampia libertà alla creatività e all'attitudine artistica dei bambini, e in questo caso delle detenute. Le bambole, fatte interamente a mano e ognuna diversa dalle altre, vengono poi vendute in beneficenza alle famiglie e i fondi vanno a sostenere le attività dell’associazione.

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