"Mio fratello è disabile": storie di presenze ingombranti e affetti irrinunciabili
Giulia e Simone. Foto: Fabio Moscatelli
Giulia e Simone. Foto: Fabio Moscatelli |
ROMA - Giulia ha provato rabbia per tanti anni. Era la sorella “fortunata”, ma si sentiva trascurata e abbandonata a se stessa. Dinanzi alla disabilità di suo fratello Simone, le sue esigenze passavano in secondo piano. Questo almeno avvertiva lei, che a quei tempi era solo una bambina. E non riusciva a spiegarsi le ragioni di quel clima teso e preoccupato che a lungo ha sentito gravare come una cappa sulla sua famiglia. Oggi Giulia ha 29 anni, vive da sola in un bell’appartamento situato in un quartiere residenziale romano e fa pratica legale presso un avvocato. Ma soprattutto ha capito di non essere unica: negli ultimi anni, infatti, ha avuto modo di incontrare tanti fratelli e sorelle di ragazzi con disabilità e, insieme a loro, è riuscita a rimettere in ordine un groviglio di esperienze composto di domande senza risposte, rimozioni, sensi di colpa e la sensazione di aver vissuto un’ingiustizia. Hanno scelto di chiamarsi siblings, un termine che in inglese arcaico indica i fratelli e le sorelle, a prescindere dal sesso di appartenenza. In origine questa parola doveva comprendere tutti, anche i fratelli disabili, ma nell’uso comune ha cominciato a indicare solo loro: la prole fortunata, che poi, a guardar bene, così fortunata non si sente. Perché nello scompiglio totale che la nascita di un bambino con disabilità porta in una famiglia, gli altri figli rischiano di sentirsi declassati ad attori di secondo piano. Schiacciati tra i problemi “reali” dei fratelli e lo sforzo eroico dei genitori costretti a rimboccarsi le maniche, mettendo da parte la disperazione. Raccontano le loro storie nell’inchiesta di ottobre del mensile SuperAbile Magazine.
“Simone è nato con un ritardo psicomotorio grave”, ricorda Giulia che, all’epoca, aveva quattro anni. Era stata lei stessa a scegliere il nome Simone per quel fratellino che attendeva come il suo bambolotto speciale. “Poi quando è arrivato le cose strane erano tante e molteplici: non faceva ciò che facevano gli altri bambini. Io cercavo attenzione e affetto, ma la famiglia era destabilizzata”. Ci sono voluti anni di pazienza e l’arrivo dell’adolescenza per cominciare a tirarsi fuori da quella situazione. “Un bambino non ha gli strumenti per affrontare quello che sta vivendo, e quelle emozioni negative te le porti dentro senza riuscire a elaborarle. Perché ti dicono che il problema è la disabilità di tuo fratello, ma solo dopo capisci che non è così: il problema non è la sua disabilità, è la tua solitudine”.
Così quando Giulia ha incontrato Marco, otto anni fa, era pronta a fare i conti con la propria infanzia. Si sono conosciuti nel corso di un convegno organizzato da un’associazione che si occupa di persone disabili, e si sono subito capiti al volo. Perché, tra le tante cose che condividono, ce n’è una particolarmente importante: anche Marco ha un fratello con una disabilità psicomotoria, e insieme hanno cominciato a frequentare i gruppi di auto-mutuo aiuto organizzati dal Comitato siblings onlus più noto, tra gli operatori e le famiglie, semplicemente come Gruppo siblings. Sono tante le cose che hanno in comune: entrambi hanno sperimentato la paura di essere risucchiati nel vortice delle dinamiche familiari e il desiderio spasmodico di trovare la propria strada e, nei momenti di difficoltà, si sono posti le stesse domande: “Non sarà che io e questo fratello così diverso ci somigliamo nel profondo più di quanto non possa apparire?”. Ma entrambi sono riusciti a cogliere anche il lato luminoso di questa esperienza, a partire dalla gratificazione di un rapporto così intenso tra siblings. Giulia non ha dubbi: “Simone non è parte della mia vita, è parte di me”.
Devi vederli insieme per capire cosa voglia dire. È come se si completassero a vicenda, lei è discreta, riflessiva, gentile, lui ha una personalità prorompente. Parla senza sosta, ama stare al centro dell’attenzione e, con la sua travolgente imprevedibilità, non fa fatica a conquistare (e rivoluzionare) la scena. “Si è sempre sentito tanto amato, non ha nessuna lacuna affettiva”, è il commento di sua sorella. Un affetto che ora Simone non fa fatica a dispensare all’umanità in generale e a Giulia in particolare. Da quando è andata a vivere da sola hanno continuato a vedersi spesso e si sentono a telefono più volte al giorno, in qualsiasi momento. Perché c’è sempre qualcosa che lui ha il bisogno urgente di dirle. Quanto alla loro vita futura, Marco e Giulia pensano a una famiglia allargata dove i loro fratelli possano trovare tutto lo spazio fisico e affettivo di cui hanno bisogno. “È l’eredità che ci lasciano i nostri genitori”, dice lui. “Ci sono sempre stati e sempre ci saranno – aggiunge lei –. Quando dico che voglio vivere con Simone è perché voglio per lui una vita vera. So che starà sempre con me perché io ho bisogno di lui”. Nel frattempo tante cose in casa di Giulia parlano di quel fratello così esuberante e talvolta “ingombrante”. Le pareti ospitano i quadri che da qualche tempo Simone ha iniziato a dipingere e il balcone accoglie un micro orto urbano che lui coltiva, sull’onda delle attività di agricoltura sociale svolte quando non è impegnato con la scuola. E dove è appena nata una piccola melanzana, di cui Simone va orgoglioso. (Antonella Patete)