"Pistole che sparano caramelle": viaggio tra i piccoli siriani rifugiati
"I bambini rifugiati siriani in Giordania". Accampamento informale (ITSs). Foto: Veronica Croccia
"I bambini rifugiati siriani in Giordania". Accampamento informale (ITSs). Foto: Veronica Croccia |
ROMA – La guerra in Siria si è distinta per il triste primato della “più grave crisi umanitaria del nostro tempo” a marzo 2015 è entrata nel suo quarto anno, senza apparenti prospettive di miglioramento. Più di 4 milioni di persone hanno abbandonato la loro terra per rifugiarsi nei paesi limitrofi (Turchia, Iraq, Giordania, Libano) i minori e le donne rappresentano circa due terzi dell'intera popolazione di rifugiati siriani, in Giordania ad esempio per il 56 per cento si tratta di bambini.
“Let us make guns shoot candies” (facciamo pistole che sparano caramelle) è il viaggio di Veronica Croccia all'interno degli “accampamenti informali” vicini al confine con la Siria (insediamenti improvvisati simili a delle baraccopoli definiti ITSs-Informal tended settlements) e nel campo profughi di Za'atari in Giordania dove vivono (o sopravvivono) gran parte dei rifugiati siriani, tra cui moltissimi bambini. Sono loro i protagonisti di questo percorso raccontato per immagini. I loro volti ci guardano attraverso gli scatti, sono bambini che hanno “la stessa luce negli occhi di tutti i loro coetanei occidentali, lo stesso diritto a sorridere e lo stesso bisogno di sognare”.
Foto: Veronica Croccia |
Un conflitto violento con una emergenza umanitaria di proporzioni immense. “In Giordania 150 mila rifugiati registrati si trovano nei campi profughi (circa 85 mila solo nel campo di Za'atari) mentre 550 mila vivono fuori dai campi nelle zone urbane e rurali giordane”. Spinti dalla disperazione per un conflitto che li ha privati di tutto e attratti dalla possibilità di un lavoro stagionale in agricoltura, la maggior parte dei rifugiati si è spostata dai campi profughi, in cerca di condizioni migliori di vita e di un lavoro, stabilendosi negli accampamenti informali hanno creato i cosiddetti ITSs “dove misere tende fatte di teli di plastica e vecchi pezzi di legno rappresentano l'unico riparo per innumerevoli famiglie composte per la maggior parte da minori, anziani e donne. Famiglie fuggite dal campo profughi di Za'atari o allontanatesi dal governatorato di registrazione, che di conseguenza hanno perso il diritto ai servizi scolastici e medici. Molti dei rifugiati degli accampamenti informali sono tutt'oggi privi dei prodotti e servizi di base, vivendo in condizioni di estremo disagio e sotto la soglia della povertà”.
Campo profughi di Za'atari. Foto: Veronica Croccia |
Veronica Croccia, studentessa in medicina e chirurgia presso l'Università di Pisa, fotografa sensibile ai temi sociali e direttrice della scuola “Fotografando” di Montopoli in Val d'Arno (Pisa) ha realizzato il reportage alla fine di maggio 2015. “Quello dei rifugiati siriani è uno dei progetti fotografici più sentiti”, confida raccontando l’interesse che l’ha spinta ad osservarne “la situazione sociale e sanitaria, la vulnerabilità e la necessità di un re-insediamento internazionale volto al miglioramento delle condizioni di vita”. “Se le parole potessero anche solo minimamente racchiudere tutto quello che ho provato, visitando queste realtà allora le userei. Ma per spiegare quello che si sente in situazioni come queste ogni aggettivo e superfluo, ogni tentativo di spiegare inutile, minimizzante”. L'unica cosa che la fotografa si sente di fare è mostrare quello che la macchina fotografica ha catturato durante quei giorni “immagini filtrate attraverso i miei occhi e il mio cuore”. Dal 15 luglio fino al 18 agosto 2015, le foto sui bambini rifugiati siriani in Giordania, saranno esposte nella provincia di Pisa, una mostra itinerante che seguirà le date del Musicastrada Festival dal titolo "Let us make guns shoot candies". “Un qualcosa di forte si e acceso in me in quei luoghi, qualcosa di reale, puro, innocente, frammisto a profonda commozione e rispetto per chi, pur avendo perduto tutto, ha ancora la forza per ridere e il coraggio di sperare” (slup)