"Sono diventato cieco. E sono più felice": la seconda vita di Giuseppe
- LUCCA - Giuseppe non ha dubbi: “Da quando sono cieco, sono più felice”. Lo dice esplicitamente, è difficile credergli, ma lui ne è convinto. Parla e sorride: “Da quando ho perso la vista, ho conosciuto un mondo inesplorato dentro di me, è cambiata la percezione delle cose, non mi pongo più limiti, la vita è bella anche così, forse ancor più bella”. Da quando è diventato cieco, all’età di 28 anni, è cominciata per lui una seconda vita, un lento percorso di rinascita, come un bambino che impara a parlare, camminare, orientarsi nel mondo. “Ho cominciato a fare sport, nuoto, scherma, judo, immersioni, baseball, danza”. E soprattutto arrampicata, vera passione di Giuseppe Comuniello. Si allena due volte a settimana nella parete artificiale del Nelson Mandela Forum di Firenze.
Ha già scalato la cava di Monsummano, 120 metri, il Santuario della pietrina a Montaione, 30 metri. In progetto c’è la scalata del Piccolo Procinto sulle Apuane, 1.100 metri d’altezza. Ogni volta, è accompagnato da Aldo Terreni, istruttore d’alpinismo, ex presidente del Cai di Firenze. Aldo guida Giuseppe, gli occhi di Aldo sono quelli di Giuseppe. Una simbiosi perfetta, passo dopo passo si arriva in vetta, anche se gli occhi vedono il buio. E’ tutta una questione di spirito, di forza di volontà. Non ci sono più gli occhi, non c’è più la vista. Ma c’è l’anima, i suoi occhi non muoiono mai, perennemente accesi dentro il cuore pulsante di Giuseppe.
Giuseppe ha 38 anni, i capelli lunghi, gli occhi persi nel vuoto ma non per questo inespressivi. Lavora all’Inps. E’ nato a Pisa con una retinite pigmentosa congenita. “Fino a vent’anni ci vedevo bene, guidavo la moto, andavo a scuola, lavoravo come pasticcere, avevo una vita normale. Poi un declino graduale, fino alla cecità totale”. Uno choc, inizialmente. Poi l’accettazione. “La cecità è stata quasi una liberazione. Quando avevo la retinite molto acuta, negli ultimi tempi, inciampavo per strada, non vedevo gli ostacoli più elementari. Vivevo un grande disagio interiore, non volevo avere niente a che fare con le associazioni dei ciechi e degli ipovedenti. Poi finalmente sono diventato cieco”. Dice proprio così, finalmente. “Perché finalmente mi sono accettato, non potevo più nascondermi, dentro di me è scattato qualcosa, potevo mettermi in mostra per quello che veramente ero, mi sono aperto al mondo e ho capito che nella vita avevo ancora tantissime cose da fare. Quando sono diventato cieco, ho avuto due possibilità: chiudermi in casa o ricominciare a vivere. Ho scelto la seconda opzione”. La cecità, per lui, ha spalancato nuove dimensioni, nuovi limiti da battere, nuove frontiere da superare. “Ricordo i primi giorni come centralinista all’Unione italiana ciechi, erano tutti più bravi di me”. Fu allora che cominciò a buttare il cuore oltre l’ostacolo.
E così si è rimesso in gioco. E’ non vedente da dieci anni, sta imparando il braille giorno dopo giorno. “Ho ancora un livello da scuola elementare”. Ma non molla, non si ferma un attimo. Prende il treno da solo, cammina da solo per strada, frequenta gli amici, esce la sera. Nei giorni scorsi ha raccontato la sua esperienza al festival del volontariato di Lucca. Quando dice agli altri che si arrampica sulle montagne, molti non gli credono. E invece è tutto vero. Sale sulle rocce come uno scalatore, il fiatone e la passione di riuscire nell’impresa. Per accompagnare l’arrampicata, il Cai si è dotato di radio e ricetrasmittenti. Per indicare le posizioni delle mani si utilizzano i riferimenti dell’orologio. “Braccio sinistro a ore undici, braccio destro a ore dieci”. E Giuseppe ascolta, si arrampica, sempre più in alto”. Eccolo Giuseppe, sempre sorridente, giovane toscano con la passione per la vita, valoroso esempio per tutti quelli che si trovano di fronte gli ostacoli e non sanno come superarli. “L’importante è riuscire a conviverci e capire che il mondo non finisce laddove uno crede”.