“Un modello di accoglienza dignitosa”. L’orgoglio dei volontari del Baobab
ROMA – “Abbiamo portato un po’ di cibo e dei vestiti, anche per i bambini. C’è anche questo computer che io non uso più. Può servire, no?”. Tre ragazze scendono dalla macchina, entrano nel centro e lasciano due sacchi riempiti fino all’orlo. Spiegano che hanno saputo che qui c’è bisogno di tutto, così in ufficio hanno improvvisato una piccola raccolta e hanno portato quello che potevano. Passa una decina di minuti e arrivano altre due ragazze. Loro hanno seguito la lista pubblicata sulla pagina Facebook e hanno portato due bottiglie di sapone disinfettante, i pelati, la pasta, il riso, il latte e qualche biscotto.
I volontari al centro Baobab |
E’ un normale pomeriggio infrasettimanale al centro Baobab di via Cupa a Roma. Qui il via vai di persone che passano a lasciare anche solo qualche pacco di pasta è continuo. Da due mesi a questa parte (da quando cioè la struttura finì al centro delle cronache per il sovraffollamento dovuto allo sgombero della vicina comunità della pace di Ponte mammolo e alla chiusura delle frontiere per il G7) il centro è gestito da una rete di cittadini volontari riuniti nell’associazioni “Amici del Baobab”.
“L’aiuto è tanto, ma rimane una goccia nel mare”
Patrizia Paglia, insegnante in pensione, li coordina insieme ad Andrea Costa. Racconta di aver creato lei stessa Amici nel Baobab nel 2006, ma con tutt’altro scopo: “L’intento iniziale era quello di divulgare le iniziative culturali che si svolgevano all’interno del centro. Poi a giugno è cambiato tutto, mi ha chiamato Daniel, il gestore del Baobab e mi ha chiesto aiuto. Non mi sono potuta tirare indietro. E a due mesi di distanza, anche se nessuno ne parla più, qui c’è un’emergenza continua – spiega - le persone continuano a portarci cibo e aiuti di ogni genere ma è sempre una goccia nel mare, le bocche da sfamare sono sempre tantissime, in media qui ci sono cinquecento persone, ma a metà agosto abbiamo anche toccato il picco di 700 persone.” Il centro si riempie e si svuota a seconda dei giorni, ma l’impegno rimane continuo e costante. In tutto i volontari fissi sono circa 50: “C’è di tutto, dai giovani studenti a persone vicine alle associazioni e ai centri sociali. Ma vengono anche dirigenti e persone del mondo dello spettacolo, che si mettono a disposizione, senza cercare nessuna visibilità”.
“Ormai siamo un modello anche se le istituzioni non ci riconoscono”
Le condizioni igieniche rimangono precarie, i posti letti sono sempre pochi. Qualcuno continua a dormire fuori, perché dentro il caldo è soffocante. Poco è cambiato da questo punto di vista dalla denuncia che Redattore sociale aveva fatto già a fine maggio. “Noi ci teniamo che le camere restino in ordine e che il centro sia pulito. Lo ripetiamo continuamente, ma è difficile con questi numeri – spiega Andrea -. Anche se nessuno riconosce lo sforzo che stiamo facendo come volontari, noi cerchiamo di realizzare un’accoglienza dignitosa. Diversa dall’accoglienza fredda che fanno altre organizzazioni, come la Croce Rossa ad esempio, nella tendopoli allestita a Tiburtina. Questo non è un campo militare, qui ci sono persone. Noi le trattiamo come tali, per questo mangiamo con loro e facciamo in modo che il cibo sia buono. Ci parliamo, ci scherziamo, cerchiamo di rendere lieti questi pochi giorni che passano a Roma. Noi crediamo di aver tracciato un modello, anche se le istituzioni non ce lo riconoscono. Il Comune di Roma ci sta aiutando pochissimo e dice addirittura di voler chiudere la struttura. Ma io non credo che siano in grado di dare a queste persone un’accoglienza migliore”.
“Questo lo manda Papa Francesco”
- All’interno del centro c’è il parrucchiere e una piccola barberia. In un angolo della sala ristorante è stata allestito un guardaroba dove poter prendere i vestiti portati dai cittadini. Nell’altra metà della sala c’è l’area per il cibo: da una parte sono accatastate le scatole di cibarie donate dalle persone comuni o dalle associazioni. Regolarmente arriva anche un pacco dal Vaticano, tramite l’elemosiniere del Papa, padre Konrad: “Questo ve lo manda Papa Francesco, ci dice, e lascia un carico di cose da mangiare”. Le derrate servono a coprire i pasti principali ma anche per confezionare i kit di arrivo e partenza. “Quando i migranti entrano nel centro gli forniamo un piccolo pacchetto con i prodotti igienici e con i beni di prima necessità – spiega Lucilla, un’altra volontaria -. Mentre a quanti decidono di partire forniamo un kit per il viaggio: di solito un succo, una bottiglia d’acqua, crackers e biscotti”. Nella parte finale dello stanzone c’è poi l’area medica, con i prodotti di primo soccorso e qualche medicinale da banco.
L’impegno delle associazioni: i clown per i bambini, uno sportello legale per gli adulti
Mentre i volontari preparano la cena, alcuni bambini giocano in strada, si contendono palloncini colorati e lo strumento per fare le bolle di sapone. Ogni mercoledì pomeriggio arrivano al centro i clown della Croce rossa: “siamo degli operatori del sorriso – spiega Barbara, nome d’arte Ciambella -. Siamo volontari, veniamo qui a fare un po’ di animazione, perché non bisogna dimenticare che questi bambini hanno bisogno soprattutto di giocare”. Anche per quanto riguarda i minori il numero oscilla continuamente, molti sono adolscenti,e non accompagnati, ma non mancano bambini molto piccoli. Poco distante Daniela Di Rado del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e Mariarosaria Calderone dell’associazione A buon diritto stanno parlando con alcuni ragazzi eritrei. “Da luglio abbiamo attivato uno sportello legale – spiegano –. Le persone arrivano qui e non sanno niente dei propri diritti. La maggior parte sono eritrei, noi gli chiediamo cosa sanno della protezione internazionale e dell’asilo, ma nella quasi totalità dei casi sono disinformati, quindi gli diamo le informazioni di base, anche come spostarsi in maniera legale”.
Obiettivo Germania, “lì c’è chi mi può aiutare”
“Vorrei andare in America, magari in Canada. Ma intanto cerco di raggiungere la Germania, in treno. Lì ci sono persone che mi possono aiutare”. M., eritreo, 30 anni, da qualche giorno vive all’interno del centro Baobab di via Cupa a Roma, insieme a sua moglie. Stanno aspettando di comprare il biglietto che li porterà a Bolzano per poi arrivare a Monaco, controlli alle frontiere permettendo. Come loro altri ragazzi sono in attesa di partire, qualcuno dice “Norway” ma la maggior parte sogna la Germania. “Ci dicono che ci sono nuovi problemi al confine – sottolinea J. anche lui eritreo- ma io devo andare, fra qualche giorno parto e sono sicuro che ci arriverò”. (ec)