“Un reddito minimo è possibile”. Ecco dove recuperare le risorse
Spiccioli monete in fila
ROMA – Il reddito minimo è possibile. L’argomento uscito momentaneamente dall’agenda politica perché ritenuto troppo oneroso per le casse dello Stato, continua tuttavia a interessare economisti e studiosi. Su la voce.info a parlarne sono infatti Emanuele Ranci Ortigosa, Massimo Baldini, Polo Bosi, Sara Colombini e Daniela Mesini, che in un articolo dal titolo “Un reddito minimo possibile” spiegano l’importanza di parlare della misura, in un momento caratterizzato dal “continuo espandersi della povertà” e “dall’acuirsi dei bisogni delle famiglie”, evidenziando tuttavia la grande confusione presente sull’argomento.
”L’Italia è insieme alla Grecia l’unico Paese europeo dove ancora non esiste una politica unitaria di lotta alla povertà e un’ultima rete di protezione sociale per le famiglie al di sotto di una determinata condizione economica”, sottolineano gli autori dell’articolo.
Evidenziato che le misure più tradizionali di integrazione dei redditi delle famiglie (pensione, assegno sociale, ecc…), così come quelle più recenti (carta acquisti, bonus incapienti, ecc…) sono di tipo “riparativo-assistenziale perché non connesse a nessuna iniziativa di responsabilizzazione dei soggetti interessati”, si evidenzia come l’introduzione di un reddito minimo “è cosa quanto mai urgente e necessaria, ma non può che essere portata avanti assumendo come criterio guida l’universalismo selettivo e recuperando risorse secondo una logica redistributiva”. box
Del reddito minimo proposto dagli autori potranno giovare “tutte le famiglie ‘povere’, le cui condizioni economiche presentino una Isee riformata inferiore a 8 mila euro, e un reddito disponibile inferiore alla soglia della povertà assoluta. A ciascuna di queste famiglie spetterà un contributo che integri il suo reddito fin o alla soglia della povertà assoluta”.
Sulla base di questi criteri, per la voce.info beneficerebbero della misura “circa 1 milione di famiglie, con un costo complessivo annuo di circa 5 miliardi di euro, che potrebbero salire a 5,5 miliardi considerando anche i costi gestionali e amministrativi necessari per l’attuazione della misura a livello territoriale”.
Ma dove trovare le risorse? Gli estensori dell’articolo hanno studiato anche le possibili fonti di finanziamento. “La prassi corrente è quella di aggiungere risorse aggiuntive – si afferma nell’articolo -. E’ la via più agevole, ma nell’attuale congiuntura economica appare assai poco promettente. Optiamo quindi per reperire le risorse necessarie rivedendo la distribuzione dei benefici delle attuali misure di integrazione dei redditi. Misure che le analisi effettuate mostrano essere poco eque , scarsamente redistributive, poco efficaci nell’abbattere la povertà”. Ipotizzando di finanziare l’intera misura a partire da un azzeramento della spesa per pensioni sociali, integrazione al minimo, social card, quattordicesima e maggiorazioni sociali delle famiglie “dei quattro decili superiori”, per gli studiosi si potrebbero recuperare risorse per 4,8 miliardi di euro. Ma sarebbe un iter troppo drastico.
La proposta, strutturata, è in definitiva quella di un “processo soft e graduale”. “Il processo che proponiamo – scrivono – è di cominciare a ridurre le erogazioni dei quattro decili Isee superiori con aliquote di taglio differenziate: 80 per cento al decimo, 60 per cento al nono, 40 per cento all’ottavo e 20 per cento al settimo. Si potrebbero così recuperare, già il primo anno, risorse per quasi 2,2 miliardi. Successivi, analoghi passi annuali consentirebbero di recuperare in pochi anni l’intera somma necessaria a finanziare il reddito minimo, sia per la parte di erogazioni monetarie e sia per la parte dei servizi di accompagnamento e promozione di percorsi di inserimento e attivazione sociale e lavorativa dei componenti delle famiglie povere”. (daiac)
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