A Ventotene la “generazione ponte”: “La pace possibile è l’obiettivo da ricercare”
ROMA - “La via da percorrere non è facile né sicura ma deve essere percorsa, e lo sarà”. La frase del Manifesto di Ventotene è impressa sulle magliette colorate dei ragazzi, mentre dalla radio in sottofondo Patti Smith canta "people have the power". Per tre giorni l’isola pontina è stata teatro della quinta edizione del Festival di Generazione Ponte, l’associazione che riunisce i ragazzi con background migratorio che vivono nel nostro paese: figli di stranieri nati e/o cresciuti in Italia, richiedenti asilo, migranti. Tra loro, per la prima volta, anche quattro studenti arrivati con i corridoi umanitari, originari del Sud Sudan ma rifugiati in Etiopia.
“Ognuno di questi giovani è attivo in Italia con le proprie capacità, ma siamo qui perché sappiamo che insieme possiamo provare a cambiare ciò che non funziona - spiega Francesco Miacola, presidente di Generazione Ponte -. E questo si può fare non solo convivendo e conciliando culture diverse ma anche mettendo in gioco diversi punti di vista”.
Nella tre giorni di Ventotene tanti sono stati i temi affrontati: dalla riforma della cittadinanza, a partire dall’approdo in aula dello ius scholae, passando per la rappresentanza, con la testimonianza di diversi amministratori locali come Marwa Mahmoud e Sumaya Abdel Qader, rispettivamente elette a Reggio Emilia e Milano. Infine, si è parlato anche di Europa, guardando al conflitto in corso in Ucraina. “Il messaggio che lanciamo dal festival è che la pace possibile è un obiettivo da ricercare - aggiunge -. I nostri ragazzi arrivano da diversi contesti, anche dalle zone di guerra oggi dimenticate. L’incontro nella differenza è la ricchezza più grande che abbiamo e che va valorizzata”.
L’ideatore e organizzatore del festival, Abdullahi Ahmed, è arrivato in Italia nel 2008 dalla Somalia, oggi è cittadino italiano e consigliere del comune di Torino. “Dobbiamo passare dall’essere oggetto delle narrazioni e delle decisioni politiche a diventare soggetti attivi e partecipativi - dice -. Non possiamo essere stranieri per sempre, siamo cittadini. E in Europa abbiamo la possibilità di incidere parlando di pace, valorizzando quello che siamo. Chi viene qui a Ventotene manda un messaggio chiaro: vuole smettere di delegare altri e iniziare a partecipare in maniera attiva”.